Racconto del viaggio di agosto 2018 di Angelika e Lorenzo

Il nostro viaggio del “Noi e..” Il Madagascar una terra dai mille volti, autentica nella sua integrità e diversità

Il nostro Madagascar del Noi e.. è stato un’esperienza indimenticabile caratterizzato per i suoi colori intensi, per l`atmosfera calda e accogliente, per le tradizioni e per la loro sacralità, ma soprattutto un mondo a se stante, racchiuso geograficamente in un’isola che abbraccia un’infinita varietà di paesaggi, colori, profumi e persone speciali.

Il Madagascar non è un’isola qualunque, bensì un luogo cosi remoto e affascinante da avere una propria identità, selvaggia e potente che, pur mantenendo i suoi tratti distintivi, rivela una incredibile povertà economica e culturale ma un intensità nel dare la vita.

È in questo modo che attorno al suo cuore pulsante, composto da un grande altopiano circondato da risaie e campi coltivati, si alternano zone aride, desertiche, costeggiate dai baobab, spiagge dalla sabbia corallina, foreste pluviali enormi e l’ineguagliabile terra rossa che, trasportata dal vento, colora di quel caratteristico color mattone tutto ciò che lo compone, attribuendogli il nome di “isola rossa”.

La sete di curiosità diventa sempre più forte di fronte a così tanta bellezza, ma come si può imprimere nella propria mente e attraverso i propri occhi tutta l’unicità di quest’isola? Che strada avremmo dovuto percorrere e chi avremmo dovuto incontrare durante il nostro viaggio per assorbire il più possibile di questa fantastica isola africana in modo da rubare il rubabile?

Quello che è certo è che il nostro punto si partenza è stata Antananarivo, ossia la capitale. Caotica e vibrante per i suoi vari colori e profumi, per i suoi mercati che si sviluppano lungo quasi tutte le strade della città, le infinite orde di gente sorridente e la varietà di persone che ci abitano. La capitale è il vero centro della politica, dell’economia e della cultura (se cosi si vuole definire..) del Paese. Ma è solo lasciata questa città che abbiamo scoperto l`isola e i suoi abitanti nella loro parte più intima ed autentica, grazie soprattutto a due persone speciali come Don Giangi e Aina.

E’ proprio da qui che è iniziato il nostro viaggio malgascio, percorrendo la discesa con destinazione finale Tulear..

Noi e…i giovani imprenditori malgasci

Il 10 Agosto abbiamo fatto visita ad alcuni dei progetti dei ragazzi del liceo Tsarasaotra finanziati dall’Associazione Unico Sole. In questa occasione abbiamo potuto osservare e comprendere meglio anche le condizioni in cui vive la popolazione della campagna e lo stato di povertà in cui versa.

Nella nostra visita siamo stati guidati da Don Giangi e dal direttore del liceo, il signor Radoda.

Di seguito una breve descrizione di ciascun progetto visitato:

  • Allevamento di 4 maiali: la ragazza non era in casa al momento della visita e siamo stati accolti dalla madre e dal fratello più piccolo. L’allevamento è sembrato mal tenuto e mal curato, il tetto della porcilaia era parzialmente mancante ed i maiali in sofferenza a causa della probabile scarsa nutrizione e dal freddo. La porcilaia inoltre non era orientata in modo corretto e non presentava dei ripari per gli animali. Abbiamo inoltre appreso che l’alunna non aveva partecipato alla formazione fatta dalla scuola. Sia la madre che il fratello sono quindi stati ripresi dal Don e dal preside e spronati a far meglio.
  • Allevamento di 3 maiali dell’alunna Stefanie: la porcilaia è sembrata essere in ottimo stato, così come i maiali. Ci è stato spiegato che si sono appoggiati ad
  • un veterinario di Antsirabe, probabilmente un loro parente. Il contributo dei genitori alla buona riuscita del progetto è parso evidente, probabilmente anche eccessivo. Nel complesso comunque il progetto è risultato pienamente soddisfacente.
  • Allevamento di galline di Irene: il pollaio è risultato essere veramente un buon progetto, ed ancora in grande espansione. Era infatti prevista una costruzione di una seconda area adibita a pollaio ed un ulteriore riparo per quello esistente. Inoltre Irene ci ha manifestato un forte apprezzamento per la formazione effettuata nei mesi di giugno-luglio, in quanto le ha permesso di imparare molte cose che le sono utili per la buona riuscita del progetto, come ad esempio alcune accortezze per far sopravvivere i pulcini appena nati. La visita a questo progetto non può che definirsi pienamente soddisfacente.
  • Allevamento di 3 maiali: per visitare questo allevamento abbiamo dovuto camminare per circa 1 ora e mezza per raggiungere la cima di una collina dove vive questa ragazza. Ci ha spiegato che questo percorso lei deve farlo ogni giorno sia all’andata che al ritorno per andare a scuola. L’allevamento è risultato in buono stato, ma il preside ha comunque voluto darle dei suggerimenti da adottare per migliorarlo. Anche lei ha voluto sottolineare che la formazione è stata molto utile, ma che purtroppo avendo già fatto la porcilaia prima della formazione, alcuni importanti suggerimenti sulla sua costruzione non ha potuto metterli in atto.
  • L’allevamento di galline e la porcilaia di due cugini: questi due progetti sono posti nella stessa casa a poca distanza tra loro. Da un lato la porcilaia è parsa in buono stato dall’altro invece a detta del direttore il pollaio non è cresciuto per nulla rispetto alle ultime visite e per questo il ragazzo è stato ripreso.
  • Porcilaia di 4 maiali: la porcilaia è risultata in ottimo stato, l’attenzione in questo caso si è concentrata su uno dei quattro maiali che per qualche motivo non sta crescendo affatto. Pertanto il direttore ha chiesto al ragazzo di attivarsi per capire quale sia il problema e risolverlo.

I ragazzi nonostante fossero tutti negli ultimi anni del liceo hanno mostrato grosse difficoltà a parlare francese, così come tutte le persone che abbiamo incontrato (famiglie, professori e direttore della scuola). La presenza di qualcuno che parli il malgascio è quindi fondamentale per poter interagire con la popolazione locale.

Il bilancio della giornata è stato più che positivo, la maggior parte dei progetti sta andando molto bene ed ha permesso anche ai ragazzi di avere qualcosa da fare durante l’ultimo trimestre scolastico in cui le lezioni non si sono effettuate a causa dello sciopero nazionale dei professori pubblici. La maggior parte dei ragazzi ha manifestato grande entusiasmo sia per quanto riguarda questa iniziativa sia per l’attività di formazione che è stata introdotta dopo una delle ultime visite di Don Giovanni Colombi. Infatti, nonostante si credesse che tutti avessero le conoscenze per allevare essendo nati e cresciuti in campagna, in realtà così non è stato, e la formazione ha fornito le necessarie competenze per poter portare avanti i progetti nel modo migliore.

Nonostante le condizioni di estrema povertà in cui questa gente vive, abbiamo incontrato grande fierezza e orgoglio ed una voglia incredibile di crescere e migliorarsi da parte delle famiglie e dei ragazzi stessi. In questo la possibilità di ricevere un contributo per iniziare una piccola attività è sicuramente un aiuto molto importante.

Noi e… i ragazzi della casa famiglia

Per una settimana, da sabato 11 agosto a venerdì 17 Agosto, siamo stati ospiti della casa famiglia di Fianarantsoa dell’associazione Rainay. In questo periodo solo 10 ragazzi erano ancora presenti nella casa, in quanto gli altri erano tornati a casa per le vacanze scolastiche. Oltre ai ragazzi siamo stati accolti dalle 3 educatrici che gestiscono la struttura.

I ragazzi durante il giorno erano tutti a scuola sia la mattina che il pomeriggio, ed anche noi siamo stati spesso fuori casa per le altre attività che abbiamo portato avanti con l’università e il liceo St Francois Xavier. Abbiamo comunque avuto modo di stare con loro spesso durante i pasti e dopo cena, oltre che nei giorni in cui erano a casa da scuola.

Da un punto di vista scolastico, abbiamo potuto aiutare i ragazzi in matematica in inglese. Per la matematica siamo rimasti positivamente sorpresi dall’ottimo livello e dalla difficoltà del programma scolastico, pari se non superiore a quello italiano.

Sull’inglese i ragazzi hanno grossi problemi di espressione orale, mentre conoscono il lessico, la scrittura e la lettura.

Tutti parlano molto bene il francese, e ci è parsa molto netta la differenza di livello di istruzione con i loro pari che studiano nelle zone di campagna.

I ragazzi ci hanno accolto con grandissimo entusiasmo e curiosità, nonostante i nostri problemi con la lingua ci hanno tempestato di domande (non parliamo molto bene il francese e tantomeno il malgascio), e già dopo i primi due giorni avevamo esaurito il materiale che avevamo portato da mostrargli. Qualsiasi video, musica, documento o foto è per loro motivo di grande interesse e domande, in quanto purtroppo hanno molta difficoltà ad accedere ad informazioni fuori dalla loro limitata realtà.

La casa famiglia è straordinaria anche dal punto di vista dell’organizzazione; i ragazzi si svegliano tutte le mattine molto presto per studiare e prepararsi, anche nei giorni in cui non vanno a scuola. Tutti contribuiscono alla pulizia e alla preparazione dei pasti, c’è sempre grande armonia e allegria e le educatrici sono fantastiche nel creare questo clima di cooperazione all’interno della casa. I ragazzi sono molto ordinati, puliti e puntuali. Una cosa che ci ha molto colpito è che nei giorni in cui non vanno a scuola puliscono la casa da cima a fondo, anche a Ferragosto!

La settimana nella casa famiglia è volata e giunto il momento di dirsi addio i ragazzi ci hanno ricoperto di affetto, abbracci ed anche qualche lacrima. Sicuramente ci hanno insegnato molto più di quanto abbiamo potuto fare noi con loro, e di questo gliene saremo per sempre grati.

Noi e…gli studenti curiosi

L’esperienza con l’università di Fianarantsoa è cominciata con l’incontro del supervisore della formazione Hajtiana Rakotonirainy insieme alla responsabile del centro di formazione nel quale abbiano tenuto la conferenza.

Dopo la nostra breve introduzione delle tematiche che avremmo presentato il giorno successivo, il supervisore ci ha subito accolti con molto calore e ci ha fatto vedere e conoscere gran parte del campus universitario. Dalle classi alle sale studio, dalla caffetteria fino agli alloggi degli studenti, ci ha mostrato lati belli e brutti della loro realtà universitaria, dove le cose che ci hanno colpiti sono state molteplici.. la nostra guida parlava di 20.000 studenti iscritti con 50 professori che fanno lezione senza libri.. di un campus senza controllo di nessun tipo, dove chiunque può entrare e uscire. Ci ha mostrato delle strutture fatiscenti con una valanga di giovani ragazzi che facevano di tutto tranne che “formarsi”. Tutte questo contrapposto alla nuova parte dell’università, bellissima ed efficiente, a cui il supervisore teneva molto e che ci ha mostrato con molta fierezza e soddisfazione.

Le cose che ci ha raccontato durante la visita alla parte moderna del campus andavano a contrastare completamente tutte le sensazioni e i pensieri che avevamo avuto 10 minuti prima passando per le baracche travestite da classi universitarie.

Raccontandoci vita, morte e miracoli suoi e della sua famiglia, per di più in un ottimo inglese, cosa molto rara in Madagascar, il tour del campus si è concluso con la visita allo studio radiofonico e al nuovissimo ospedale universitario, due realtà che non ci saremmo mai aspettati di trovare qui.

Finita la prima parte della nostra visita abbiamo subito incontrato il direttore del liceo Xavier che con fare un po’ scontroso ci ha accolti nel suo ufficio spiegandoci quello che avremmo dovuto fare durante le giornate di giovedì e venerdì come da programma pubblicato sulle locandine. Purtroppo ci ha detto che la scuola sarebbe finita proprio il giorno della nostra visita e che quindi non avrebbe garantito una grande presenza di studenti durante le nostre conferenze. Fiduciosi nella presenza anche di pochi ragazzi ci ha consegnati nelle mani di Aina che conoscendo molto bene la realtà del liceo ci ha fatto fare un giro della struttura che è molto grande e comprende oltre ad un bellissimo capo sportivo anche due piscine che però sono chiuse nel periodo invernale.

 

Noi e…l’Università di Fianarantsoa

Eccoci giunti al fatidico giorno della prima conferenza all’università di Fianarantsoa che puntuale alle ore 2 del pomeriggio ci accoglie nella nuova sala conferenza dove vengono svolte attività per avvicinare gli studenti con il mondo del lavoro.

Ci attende un pubblico di un centinaio di ragazzi che ci scrutano interessati mentre ci accomodiamo e sincronizziamo la prima lezione sugli schermi.

Dopo una breve presentazione di noi al pubblico e del nuovo dipartimento di formazione abbiamo iniziato a raccontare le nostre esperienze. Prima Angelika ha presentato “Come una banca finanzia un progetto” e poi Lorenzo “Come è  strutturata un’azienda”. Dal primo all’ultimo minuto l’attenzione dei ragazzi è stata massima e mentre noi parlavamo era visibile come loro cercassero di immagazzinare più informazioni possibili. Il responsabile della struttura traduceva con un tale entusiasmo ed una tale partecipazione che i ragazzi erano rapiti da ogni parola.

La nostra soddisfazione nel vederli cosi interessati ad attenti è stata impagabile.

Al termine delle lezioni, dopo una prima titubanza dettata forse dalla loro timidezza, i ragazzi hanno iniziato a fare domande. E così dopo il primo coraggioso, eccone un secondo e poi un terzo, fino a che quasi tutti volevano chiederci qualcosa. Qualcuno aveva anche 4-5 domande insieme, e noi riuscivamo a malapena a stare dietro a tutte quelle richieste.

Purtroppo ci hanno quasi dovuto “buttare fuori” dalla sala dato l’orario ormai notturno e non contenti i ragazzi hanno continuato a farci qualsiasi tipo di domanda anche nel giardino del campus tra una foto e l’altra che conserveremo come prezioso ricordo. Il direttore era al settimo cielo e non smetteva di abbracciarci, nonostante avesse parlato per più di 4 ore senza nemmeno bere un goccio di acqua, aveva ancora una carica incredibile, e dall’entusiasmo sembrava camminare ad un metro da terra. L’emozione che abbiamo provato fuori da quella sala, credo sia impossibile da spiegare e resterà scolpita nelle nostre memorie.

Il nostro ritorno alla casa famiglia è stato pieno di gioia, soddisfazione e un pizzico di amarezza.. nel sapere che probabilmente quelle fantastiche persone, che ci avevano dato cosi tanto in cosi poco tempo, non le avremmo mai più riviste. L’unica speranza è di poter aver dato loro anche solo un decimo di quello che ci hanno trasmesso.

 

Noi e…il liceo Xavier

Dopo la chiacchierata con il direttore di qualche giorno prima, le premesse per le lezioni previste al liceo St Francois Xavier non erano delle migliori. Non sapevamo se ci sarebbero stati ragazzi visto che l’anno scolastico era appena finito.

La mattina del primo giorno invece, appena arrivati a scuola, ecco lì ad aspettarci una trentina di ragazzi con il loro professore, in attesa di ascoltare quello che avevamo da dirgli.

Così come da programma Lorenzo ha iniziato parlando di come funzionano gli aerei, trovando grande interesse e partecipazione da parte dei ragazzi. Qui al liceo non avevamo traduttori, e con nostra grande sorpresa i ragazzi riuscivano a seguire la lezione e alcuni anche ad interagire e fare domande. Non a caso questo a detta di molti è il miglior liceo della città, ed è un liceo privato.

La giornata è proseguita con il corso d’inglese di Angelika, che ha palesato i problemi di conversazione che avevamo già visto nella casa famiglia. Probabilmente i metodi di insegnamento delle lingue e la mancanza di pratica non aiuta gli studenti a migliorare in questo aspetto.

Il giorno successivo abbiamo proseguito le lezioni con una decina di ragazzi che ha preferito ancora noi alle meritate vacanze. E che dire, se non Grazie!

Questa ultima giornata è stata anche utile per confrontarci con i ragazzi e capire come vivono e quali sono le difficoltà che devono affrontare ogni giorno. Anche qui alla fine il risultato è stato che anche qui pensavamo di venire ad insegnare qualcosa, e ce ne andiamo avendo imparato molto più di quanto abbiamo dato.

Immagini collegate:

Diari di viaggio

Trovate qui i diari di viaggio, le impressioni, le annotazioni, le gallerie fotografiche  di tutti quelli che hanno voluto condividere l’esperienza del viaggio con UnicoSole.


2017

Diario del viaggio in Madagascar di maria Concetta Fanesi, 12 gennaio – 1° febbraio 2017


2016

Viaggio in Madagascar, 1 – 16 ottobre 2016

Un po’ di ricordi, diario di Sonja

Cronaca del viaggio in Madagascar, 10-20 gennaio 2016


2015

Relazione del viaggio  di Mattia, dicembre 2015- gennaio 2016 

Programma del viaggio in Madagascar dal 30 giugno al 17 luglio 2015

 Racconto di Padre Giangi, viaggio in Madagascar dal 15 al 28 gennaio 2015

 


2014

Diario di Elide, viaggio in Madagascar di luglio 2014 

Diario di Graziella, viaggio in Madagascar di luglio 2014

La visita al carcere di Ihosy   

La visita al Liceo di Tsarasotra

Cronaca del viaggio di luglio e agosto 2014

Programma del viaggio dal 19 luglio all’8 agosto 2014

Il Diario di Fabio, marzo 2014 

Cronaca del viaggio di marzo 2014

Programma del viaggio in Madagascar dal 1° al 16 marzo 2014 


2013

Diario del viaggio di nozze con in Madagascar di Elisa e Alessandro, 8-29 ottobre 2013

Diario di Elide, viaggio in Madagascar dal 12 al 27 luglio 2013

Relazione del viaggio di Marika, 21 novembre 2013

Relazione di Valentina sull’esperienza in Madagascar, 5 agosto 2013

Impressioni del viaggio in Madagascar del 2013: il diario del gruppo

La cronaca del viaggio del 2013

Il programma del viaggio: dal 12  luglio al 3 agosto 2013


2012

Programma del viaggio di agosto 2012

Impressioni di Enrico su un viaggio in un Paese molto lontano. Viaggio in Madagascar, 11-22 marzo 2012

Programma del viaggio di marzo 2012


2011

Diario di Elide, viaggio in Madagascar dal 17 agosto al 1° settembre 2011

Programma di viaggio dal 17 agosto all’8 settembre 2011

Programma di viaggio dal  13 al 28 marzo 2011

Viaggi 2011: le date


2010

Diario di Elide, viaggio in Madagascar 18  agosto – 2 settembre 2010


2009

Diario del viaggio del 2009 – primo gruppo

Diario del viaggio del 2009 – secondo gruppo

Samuele in Madagascar, agosto 2009

Riflessioni a caldo di Gianni Bonetti

Riflessioni a caldo di Simone Ravelli


2004

Diario di Chiara. Viaggio in Madagascar 2004: un’esperienza indimenticabile!

Immagini collegate:

I volti di Cristo sotto un UnicoSole. Diario del viaggio in Madagascar dal 12 gennaio al 1° febbraio 2017, di Maria Concetta Fanesi

“Maria, Sandra e Ugo vanno in Madagascar, andiamo anche noi?” “Va bene”.

Un si immediato, senza riflettere, quelle cose scelte prima di pensarle, una decisione piovuta dal cielo.

C’è un’unica strada che percorre il Madagascar da nord a sud, questa è la via di tanti fratelli, è la strada di Dio e i volti di Cristo in ogni fratello malgascio che la abita.

 12 gennaio giovedì

Ore 6,20 partenza per Parigi, arrivo a Parigi alle 10, ripartenza alle ore 11,45 per Antananarivo . Arrivo ad Antananarivo alle ore 23,30 locali. Aeroporto: dal freddo al caldo; gente, tanta gente alle 11 di sera, tanti sorrisi. A chi?  A me?

Dovevamo pagare la tassa-passaporto di 27 euro, ma la scheda non si trovava perché avevano finito le copie, una fila interminabile … ma loro, i malgasci tranquilli, “mora mora”, piano piano …e parlavano, ridevano tra loro sereni. Due di loro si sono offerti per compilare ben 8 schede (2 per ciascuno di noi) che alla fine erano arrivate. Parlavano di soldi e io, tra me e me, ho pensato “anche qui fanno tutto per guadagno”, portandomi dietro i miei pregiudizi di europea ma non era vero, ci indicavano il bureau dove dovevamo pagare la tassa-passaporto e ci hanno gentilmente accompagnato.

Poi via a prendere le valigie, il sudore mi colava dalla fronte, mi sono tolta la giacca a vento, sì era proprio caldo, l’attesa è stata lunga. Dopo un po’, Silverio mi dice di aver sentito un responsabile dei bagagli pronunciare il cognome “Socci?”. In poche parole abbiamo capito che una delle nostre valigie non era partita da Parigi, sarebbe arrivata il sabato successivo alla stessa ora.

Silverio è stato bravissimo, era la sua valigia, se fosse stata la mia mi sarei agitata tantissimo (come sono attaccata alle cose) ma ben presto ho imparato la prima lezione da Haja, il nostro autista malgascio che ci aspettava fuori, col suo fare sorridente e sereno mi ha fatto capire che la valigia non era un bene così prezioso da dover togliermi la serenità, comunque avrebbe fatto di tutto per consegnarcela anche dopo una settimana.

Avviandoci verso la macchina, siamo stati circondati da 5 -10-15-20 ragazzi che volevano aiutarci a portare le valigie (un ragazzo mi ha chiesto una bambola per la sua bambina). Io con un bel mal di testa, per schivare tutta quella masnada di gente sono salita sul fuoristrada tenendomi stretta la borsa e lo zaino per paura di quei, secondo me, malintenzionati, ma Haja, con calma, mi toglie lo zaino e lo sistema dietro per farmi stare più comoda e mi fa capire che non devo avere timore, si tratta di persone molto molto povere. (Oggi 25 gennaio ho capito quanta onestà e rispetto c’è in questo popolo, valori che noi abbiamo perso).

Chiedevano qualcosa e Silverio, Sandra e Ugo sono stati molto bravi e solleciti, mentre io mi sono barricata. Era notte, per le strade tanti cani, baracche, polvere, terra, buio, un odore di legna bruciata. Arriviamo all’albergo povero ma pulito, i pezzi dei sanitari rimediati e incollati. Uno sguardo..Silverio e io ci sentiamo ancora più uniti in questa nuova avventura, in questo mondo così diverso tutto da scoprire insieme e ci addormentiamo tranquilli.

Al mattino un raggio di luce..poi voci, schiamazzi, movimento, sono le 4 e tutta la città è sveglia, ci si alza presto, mi affaccio e vedo passare carretti carichi di sacchi di carbone portati a traino da ragazzi e spinti dietro da altri ragazzi, donne con ceste sulla testa in perfetto equilibrio, pulmini carichi di gente, animali, piante, mercanzie e bimbi che al volo si attaccavano alla maniglia posteriore. Insomma una vera città fatta di stracci, ruote e tanti bambini, mai vista tanta gente giovane tutta in una volta.

13 gennaio venerdì

“Andiamo!!! Il Madagascar ci aspetta. Haja ci ha raggiunti e abbiamo cambiato gli euro in ariari (la moneta locale): 1 € = 3.500 ariari, insomma 7.900 € = 27.650.000 ariari; tutti quei soldi hanno preso posto in tre zaini.

Partenza per Ambositra. Un’unica strada, ma quanta gente! Sbucano da tutte le parti.

Si vende di tutto, ognuno quello che la natura gli dona: dal sasso all’ananas, bancarelle fatiscenti con borse di raffia, corde, legna da ardere, anche il lavoro si svolge qui. C’è chi fa i mattoni, chi spacca le pietre e i bambini le sminuzzano, carretti pieni di sacchi di carbonella coperti con foglie di manioca spinti e tirati da ragazzi, poi tanti bimbi e bimbe che portano i fratellini sulla schiena e fanno chilometri e chilometri, un mondo nuovo, diverso. Frotte di giovani ma che meraviglia. Haja ci ha detto che il Madagascar ha la superficie doppia dell’Italia, 30 anni fa la popolazione era di 8 milioni oggi sono 24 milioni, il 50% giovani sotto i 18 anni.

Camminano tutti passo dopo passo per chilometri, insieme, quando passi ti salutano e ti sorridono come ti conoscessero da sempre “salama” che vuol dire “buongiorno”, “veloma” che vuol dire “arrivederci” un popolo in cammino; pochissime auto, poche biciclette, tanti carrettini fatiscenti. Questo popolo sopravvive con le risorse della terra. Una volta il paese era tutto una foresta ora non più. Tagliano gli alberi, soprattutto eucalipti, li bruciano per ricavare carbone da vendere per cucinare, cosa? Manioca, una radice come la patata ma più dura.

E’ la stagione della frutta e si vendono banane, carote, cetrioli, litchi, papaia, mango, pomodori; quanti colori. Non è la strada delle auto o dei tir, è quella degli uomini o gli uomini della strada perché è la vita che si svolge qui. Incontriamo mandrie di zebù guidate da pastori con un sacco sulle spalle dove tengono un legnetto e un pezzo di manioca perché il mercato da raggiungere è lontano e ci si ferma a mangiare e a dormire sotto le stelle.

Ci fermiamo davanti a delle capanne di paglia dove vendono borse di raffia, cappelli variopinti ed altro. Dopo aver fatto acquisti proseguiamo. Da Antananarivo ad Ambositra sono 250 km, percorsi in 7 ore. Ci fermiamo e vedo due bimbe che vengono verso di noi con un piatto pieno di uova da vendere, sono titubanti. I “vasa”, gli uomini bianchi, li vedono di rado, forse mai. Mi avvicino, do delle caramelle, poi vedo che la bimba ha la corona del rosario al collo, allora tocco il rosario e faccio il segno di croce..risposta?  Un grande sorriso, non più estranea ma dalla sua parte.

Risaliamo in macchina..che colori, la terra è di un rosso fuoco per questo è chiamata “ l’isola rossa”, il verde di mille gradazioni spicca su un cielo che sa di paradiso; alberi dall’alto fusto mai visti prima. Milioni di anni fa quest’isola era attaccata all’Africa e, staccandosi, ha conservato animali e piante che si trovano solo qui. Ci fermiamo, ci vendono miele di litchi, marmellate di prugne e albicocche. Il miele in bottiglie di plastica, qui non si spreca niente, questo popolo misero è ingegnoso e sa inventarsi: con liane intrecciate fanno corde, sottopentole, scope, scopette, lemuri in miniatura da vendere a chi passa, tutti aspettano e sono pronti a venderti qualcosa, anche un sasso. Ma chi compra? Vivono così aspettando “mora mora” la provvidenza, ma ci mettono del loro, sono poverissimi, sopravvivono con quello che trovano.

Arrivati ad Ambositra il fuoristrada non va; “mora mora” dice Haja. Senza perdere la pazienza scarica tutti i bagagli, tutti lo aiutano, tutti ci salutano. Ceniamo alla luce fioca della candela, fuori il cielo stellato e una grande pace mi invade, la natura si riposa, io chiudo gli occhi e rivedo tutto popolo in cammino…quanti giovani, quanti bambini scalzi sporchi.. mi addormento con i loro sorrisi.

14 gennaio sabato.

 Apro gli occhi..dove sono? È un sogno? Mi affaccio alla finestra, non è un sogno, c’è posteggiata la nostra Toyota carica di bagagli 2 valigie a testa di 23 kg ognuna e un bagaglio a mano di 12 kg e uno zaino a testa. Abbiamo di tutto: caramelle, profumi, saponette, bagni schiuma, vestiti per bimbi, uomini e donne, tutto da dare, tutto da distribuire ma non sapevamo a chi, ora lo sappiamo;  a chiunque incontreremo perché tutti ti sorridono ma non tendono la mano perché sono dignitosi nella loro povertà; appena accenni un minimo gesto si coinvolgono subito perché sono immediati, si mettono in posa per una foto e ridono, ridono chiudendo la bocca con il palmo della mano per non far vedere le tante finestrine (qui si va dal dentista solo per togliere i denti non per curare.  I dottori ti curano unicamente basandosi sui sintomi; non ci sono laboratori analisi e nemmeno ospedali).

“Presto si parte”, saliamo ma, ahimè, l’auto non va. Haja non da segni di preoccupazione che persona, affronta tutto “mora mora” piano piano: “escusa, escusa, voi andare al negozio del legno, io intanto riparare macchina”. Ci rassicura con quel tono così scanzonato, quel suo modo di parlare piano piano in modo raffinato (certo noi siamo molto più grossolani), ci guardiamo e ci

avviamo al negozio. Mi fermo.. una mamma tiene in braccio un bimbo e si avvicina, io le faccio segno di volerlo prendere in braccio e lei sembra un po’ reticente ma, il sentimento di accoglienza nei miei confronti, supera ogni paura, mi trovo tra le braccia quel culetto bagnato senza mutandine che bello…mi sento parte.

Al negozio oggetti di legno, presepi, croci, suppellettili, Ambositra è la città del legno. Abbiamo fatto acquisti, una croce con due mani unite: una bianca e una nera, è proprio sinonimo di questo viaggio con l’associazione “Unicosole” unica mano, unico Padre nostro, siamo tutti sotto lo stesso cielo. Finalmente la Toyota Land Cruiser 2088FE bianca è pronta e saliamo. Non abbiamo perso tempo.. non abbiamo sbuffato sotto il sole cocente, non ci siamo sentiti allo sbaraglio..ci siamo fidati, questa gente ci contagia, stanno lì seduti per la strada con niente da vendere in attesa..di chi? ma ti salutano per primi e ti sorridono.

La strada è lunga, buche su buche, un asfalto ibrido e un caldo caldo..ma è caldo anche il mio cuore.

Ripenso a casa, ai miei figli e nipoti, un altro mondo.. come sarei felice di catapultarli in questo nuovo mondo più vero, più umano, più semplice, più naturale, una vita di sopravvivenza ma di fratellanza, di silenzi,di rispetto della natura, di timore di parlare per non rovinare un tramonto o un cinguettio di cicale, una natura vergine, una terra rossa come la gente che ora guardo ai lati della strada tutt’uno con la pietra che stanno spaccando per ricavarne mattoni da vendere, o terra rossa presa a pezzi per costruire capanne con tetti di paglia. La loro casa: un buco con una stuoia per appoggiare la testa durante la notte per questo popolo giovane in cammino. Fanno i mattoni con piccole forme di legno, li accatastano lasciando in mezzo un camino, accendono il fuoco per cuocerli, poi li vendono, tutto è fatto a mano, senza misura, anche i gradini delle scale, tutti diversi. Arriviamo a Fianarantsoa, ci sistemiamo in albergo perché nella casa famiglia, dove andremo nel pomeriggio, ci sono solo camerate per i ragazzi e manca acqua e luce.

Po..poo.. suoniamo il clacson, si apre un grande cancello rosso e.. 55 ragazzi e ragazze ci accolgono.. è sabato e non c’è scuola. La casa ha 3 piani: piano terra con il refettorio, la camera di P. Giangi, 2 stanze per studiare dopo la scuola e i bagni; primo piano camere delle ragazze e bagni; secondo piano camere dei ragazzi e cappellina.

Qui ancora si può fare convivenza, le ragazze molto semplici e modeste stanno pulendo il riso dalla pula su grandi ciotole di alluminio mentre i ragazzi giocano con un pallone fatto di stracci..ma tutti si fermano per noi: “salama,salama” “buon giorno” e uno a uno ci salutano dandoci la mano e 3 baci sulla guancia con gli occhi timidi abbassati . Per rompere il ghiaccio mi metto a cantare alleluia con le mosse e… è fatta.  Io? Tu? Malgascio? Vasa? No…NOI ALLELUIA, e via, canti, girotondi, ban grazie ai miei figli e Arianna che me li hanno insegnati. Giovani con giovani, ci sentiamo accolti.

15 gennaio

Ci alziamo alla buonora dopo una bella dormita su un letto con baldacchino bianco, camera d’albergo che s’affaccia su un cortile interno con svariate piante autoctone, un odore acre di legna bruciata ti entra in gola. Certo cucinano solo con legna e dappertutto c’è questo fumo che ti toglie il respiro, per il resto tutto pittoresco e fiabesco.

Dopo una lauta colazione con marmellata di poc poc, ananas, banane, tè e pane, alle 7,15 partiamo da Fianarantsoa, attraversiamo campi e vallate verdi, risaie, risaie su terrazze e gente che pianta il riso, lo raccoglie, trasporta grandi fasci sulla testa e lo batte su pietre ai lati della strada per ricavare chicchi che poi andranno battuti a mano su mortai per liberarli dalla pula.

Più si va verso sud più il paesaggio è stepposo e le risaie sono secche, qui manca l’acqua, è tanto tempo che non piove pur essendo questa la stagione delle piogge; la raccolta è poca, alcuni cercano almeno di riempire una “kapoka” di riso per sopravvivere. Zebù che lavorano la terra calpestandola con gli zoccoli e persone che li tirano in mezzo al fango, alla melma. Rivoli d’acqua dove le donne lavano i panni e li mettono ad asciugare al sole trasformando i prati in arcobaleni variopinti mentre i bambini fanno il bagno. Incontriamo bambini che giocano per strada con una ruota di bicicletta tutti smoccolati, scalzi, stracciati ma con il sorriso stampato sulle labbra. Arriviamo verso le 11,30 a Ivandrika due capannoni in aperta campagna, scendiamo e ci viene incontro Padre Giovanni Luigi Colombi. Me lo immaginavo proprio così. “Cari amici, benvenuti in Madagascar, venite, venite, abbiamo appena celebrato la Messa e questi operai vogliono salutarvi”. Capannone grigio, di cemento, in terra una grande stuoia e, seduti attorno, famiglie intere, giovani con bimbi tra le braccia e noi al posto d’onore sulle seggiole. Ognuno di loro si è presentato e ci ha dato il benvenuto.  Gli sguardi tutti su di noi, sguardi buoni, accoglienti:

“siamo contenti che siete qui, siete venuti con il grande uccello di ferro che non è caduto, siete venuti da lontano a trovare noi… voi i vasa”, poi si sono messi a cantare. Dopo il saluto ci hanno offerto il pranzo: riso, zebù, foglie di manioca lessate, papaia per frutta. Abbiamo poi visitato le risaie che padre Giangi ha realizzato sfruttando un torrentello costruendo canali per irrigarle. Abbiamo quindi raggiunto il grande bacino d’acqua e la diga fatta costruire nel 2015 sfruttando un tipo di terreno roccioso impermeabile per poter raccogliere l’acqua per i raccolti e per gli zebù. La prima diga fatta di terra e pietre crollò, tanto che gli operai erano sfiduciati, ma la seconda, di cemento e ferro, è lì. E’ stata per me una grande emozione camminarci sopra come da bambina quando giocavo a stare in equilibrio sul marciapiede, ma la diga era tanto lunga, di qua acqua e di là cemento e ad un tratto ho chiesto l’appoggio per non perdere l’equilibrio mentre dei bambini che facevano il bagno su una pozza d’acqua lì accanto, mi guardavano e ridevano.

Poi partenza per la casa base a Ioshy: la Fifaliana che significa “letizia”. Una cucinetta, la camera di padre Giangi, la camera da letto per Sandra e Ugo e la sala da pranzo che di sera verrà trasformata in camera da letto per me e Silverio. Un piccolo appartamento dove vive una famigliola Lidia 27 anni, Roland il marito e Fleria di 8 mesi. Al mattino sveglia alle 4, alle 5 tutti al lavoro all’allevamento di galline ovaiole voluto da padre Giangi per dar lavoro a questa gente nella loro terra. L’allevamento impegna 35 operai, una parte del ricavato va a sostegno della casa famiglia di Finarantsoa. Roland con la sua bicicletta si carica tutte le mattine 1000 uova e va a venderle fino a sera. Lidia lavora al pollaio e porta con sé la bimba. Appena ritorna, alle 17,30 del pomeriggio, accende il fuoco lì di fuori e cucina manioca, riso e foglie di manioca. Mi tratta come mi conoscesse da sempre e cerca di insegnarmi qualche parola in malgascio. Nel pomeriggio facciamo visita al carcere di Ioshy; una esperienza cruda. Ci sono 250 carcerati di cui 20 donne, 40 già condannati, gli altri in attesa di giudizio, che forse non arriverà mai. Dopo aver ricevuto i dovuti lasciapassare verbali per entrare, abbiamo sentito il grido di una guardia e ci è stato aperto un cancelletto, richiuso alle nostre spalle. Ci siamo trovati 350 persone tutte sedute davanti a noi che ci battevano le mani. Non so cosa sia passato nella loro mente ma il mio cuore era gonfio. Su terra rossa, polvere rossa, baracche nere di fumo, uomini con maglie strappate, scalzi, sporchi, ma sorridenti, molti con il rosario al collo pronti per la Messa.

Padre Giangi ha celebrato il sacrificio di Gesù che condivide la realtà di questo carcere e di tanti uomini innocenti che vi si trovano. Il più anziano, catechista del carcere, ha preso la chitarra e ben 3 cori di carcerati hanno dato gloria a Dio e chiesto perdono per le loro colpe durante la preghiera dei fedeli. Intanto un odore forte di fumo e un’aria dolce mielata e fetida saliva dal centro del cortile dove sotto una tettoia sembrava ci fossero dei fuochi, ci siamo avvicinati perché i carcerati stessi avevano piacere di farci vedere le loro condizioni di vita e, sopra due altissimi scalini di pietra nera bolliva un pentolone di ferro incrostato con dentro radici di manioca marce che si cuocevano su un’acqua marrone. Impressionante, mai visto, peggio di un trogolo di porci. A un battito di verga sul coperchio tutti in fila con la scodella in mano per prendere l’unico pasto del giorno. Alle 17 tutti dentro fino alle 7 del giorno dopo. Dentro dove? E come? Ci sono 3 locali bui pieni di schizzi di sangue nelle pareti (per le zecche che li tormentano durante la notte), poi questi poveri uomini ci hanno fatto vedere come dormono. Su una stanza dove dovrebbero dormire in 20 dormono 98 persone. Considerato il sovrannumero non c’è posto per sdraiarsi orizzontalmente, così dormono sul fianco, alternati testa e piedi; ogni tanto, a comando, si devono girare tutti dall’altra parte. Così per tutta la notte e per tutte le notti. Inaudito, fuori di ogni misura umana. Allibiti guardavamo questa realtà, realtà mai pensata. Davanti alla camerata un bidone tutto rotto per fare i bisogni, praticamente questi uomini vivono, calpestano e respirano la loro merda. In una stanza a parte sono reclusi 12 ragazzi sotto i 16 anni. Padre Giangi ha chiesto loro che cosa avessero fatto per meritare il carcere. “Io ho ucciso”, hanno detto 2 ragazzi “perché stavo litigando”, impressionante. Gli altri, la maggior parte avevano rubato uno zebù e uno di loro una bicicletta. Poi siamo andati nel settore delle donne e gettando uno sguardo nel cortile abbiamo visto un carcerato che aiutava un compagno a togliersi i pidocchi dalla testa, lì tutti si grattavano, si grattavano, tutti si avvicinavano a noi e volevano una foto e si volevano rivedere nel cellulare, erano felici della nostra visita.  Una donna ci ha detto: è morto mio marito e mi hanno incolpata ingiustamente; un’altra era accusata di aver lasciato aperto il cancello per far entrare i ladri di zebù, comunque tutte si sono dichiarate innocenti. Ci hanno fatto vedere il loro catino bucato per lavare i panni e hanno chiesto il sapone e delle scope oltre a un catino nuovo. La visita era terminata ma nel mio cuore e nei miei occhi quei volti rimarranno per sempre. Siamo ritornati al carcere altre due volte.

16 gennaio lunedì. Ihosy casa base.

Abbiamo visitato l’allevamento di galline ovaiole. Ci sono dei capannoni di cui uno a tre piani, gli altri a piano terra, si leggono targhe di donazione per la loro costruzione. In una c’è scritto: “Affinché i ragazzi del Madagascar possano avere un futuro migliore”. C’è un pozzo scavato a 30 metri di profondità che prende acqua da una vena e sulle pareti c’è una targa con Gesù Misericordioso che riporta questa scritta: “Gesù è sorgente di acqua viva per la vita eterna, chi viene a me non avrà più sete”. Anche qui tanti bambini e tante famiglie, è la più grande impresa di Ihosy. Faccio la foto a due bimbe intente a battere con un pesante tronco il riso posto in una ciotola di pietra per togliere la pula, un lavoro faticoso ma qui lavorano tutti anche i bambini che non mi hanno risparmiato il loro sorriso. Nel pomeriggio Sandra e io abbiano scartavetrato la porta del bagno e due finestre e dato l’impregnante.

 17 gennaio martedì.

Silverio e Ugo hanno attaccato i quadri nella stanza da pranzo con le foto dei 35 anni di padre Giangi in Madagascar, io sono tornata, per la seconda volta, al carcere con padre Giangi e Sandra e abbiamo portato 10 contenitori per i bisogni fisiologici numerati con un pennarello bianco e con coperchio, saggina per fare le scope così passano un po’ di tempo per costruirle, 1 kapoka di riso a testa, quindi 350 kapoke alcuni non avevano niente per mettere la loro porzione di riso allora hanno allungato il cappello.

Abbiamo portato delle papaie per gli ammalati ed un pallone. Alle ore 17 abbiamo assistito alla loro entrata nelle camerate, tutti in fila con le braccia appoggiate sulle spalle di quello davanti e, ad un ritmo malgascio tutti dentro chiusi a chiave.

Alla sera abbiamo avuto a cena Renè, sua moglie Claire e Gian Paul. Renè ha 43 anni ed è il responsabile dell’allevamento di galline ed è stato il primo operaio di P. Giangi; sua moglie tiene la contabilità e paga gli stipendi agli operai ogni settimana.

18 gennaio mercoledì.

 Siamo andati a Marafivango dove è in fase di costruzione un capannone aperto con tettoia per riporre il raccolto.

Campi sterminati, cielo azzurro, l’orizzonte lontano, poi  nuvole scure che contrastano col verde intenso dei prati e delle coltivazioni di noccioline tonde e normali, mais, manioca. Cammino in mezzo a queste piantagioni su una terra rossa in piena libertà, assaporando i profumi della natura e le distese interminabili, una calda pace mi invade l’anima, corro incontro a due donne che vedo laggiù una con un bimbo in braccio ed uno grandicello, voglio conoscerle… muovo i primi passi e anche loro mi vengono incontro…un saluto e poi mi seguono, mi seguono perché il cielo si fa più scuro e minaccia la pioggia.  Arriviamo al capannone e vediamo che Ugo e  Silverio hanno appena finito di aggiustare il tubo che porterà l’acqua in una grande vasca nel recinto degli zebù. Nel muro leggo la targa ”Dio disse: “Ecco io vi do ogni erba che produce seme e che è sulla terra, e ogni albero che da frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo”. Questo capannone è stato realizzato il 12/01/2015. Gli operai ci guardano, io accenno un “alleluia” e subito rispondono, amicizia è fatta, uno di loro prende una chitarra fatiscente e tutti cantano in coro e ballano, è un vero spettacolo; come sono semplici e veri, esprimono gioia anche se il lavoro di braccia è duro, la terra, gli zebù.

I bimbi giocano sopra a un carretto e noi ci mettiamo a giocare con loro in cerchio: la danza del serpente, dudu bau, se sei felice….. la loro allegria ci contagia….è festa per tutti, festa di niente ma di tutto, di semplice calore umano tra fratelli figli di un solo Padre sotto un “Unicosole”.

Ripartiti, siamo andati a trovare Giuseppe, un misero che vive in una capanna di terra col tetto di paglia in mezzo ad una steppa cercando di coltivare riso, mais e manioca. (Prima di Natale si era presentato a padre Giangi e gli ha aveva chiesto uno spazio per costruire una capanna per far partorire la moglie in attesa dell’ottavo figlio). Ci ha fatto vedere il giaciglio costruito da lui e ci ha presentato tutta la famiglia che vive racimolando tutto quello che la natura offre: porcospini, ochette selvatiche, quaglie e altri animali selvatici. Mi riprometto di portargli qualcosa.

19 gennaio giovedì.

Parco Isalo. Percorriamo una lunga strada. La guida, dopo aver voluto gli ariari pattuiti, sparisce e noi un po’ innervositi ad aspettare; ma Haja “no tutto va bene Maria, va bene mora mora”. Haja con la sua calma ci educa…e ci tranquillizza. Il parco è meraviglioso, pieno di cascate, sentieri, liane, palme, alberi mai visti, paesaggio paradisiaco, rocce lisce e acqua di sorgente trasparente dove gli alberi si specchiano e il martin pescatore azzurro fa capolino e fugge per non farsi fotografare perché noi abbiamo invaso il suo habitat.

Occorre un grande rispetto e questo popolo lo possiede, rispetto per la natura che dà loro da mangiare, per gli animali, per gli uomini, ci si ascolta per ore e ore, si dialoga, ci si confronta, si dedica il tempo gli uni agli altri, stile di vita da recuperare nelle nostre case, rispetto per tutto. Sono timidi, riservati, schivi, semplici, parlano piano per non disturbare, sono un tutt’uno con il silenzio della natura nella quale sono immersi. Piccole cascatelle luminose saltano su pietre e si raccolgono in acque trasparenti che lasciano intravedere i multiformi colori delle rocce e della terra, bellissimo.

20 gennaio venerdì. Visita a Sakalalina altro terreno di padre Giangi.

Piantagioni di riso, dura coltivazione dei campi secchi, senza acqua, allevamento di galline di proprietà di Renè. Gli operai, tutti ragazzi giovani, raccolgono con le mani il letame delle galline e degli zebù e lo stendono nella terra per dare un po’ di fertilità ai campi che hanno sete d’acqua, piantagioni di banane. Bisogna sapere che il banano ce la mette tutta per partorire un casco di banane, ci mette tutta la sua energia e vitalità, poi muore e attorno spuntano i figli e il ciclo continua. Leggo nel muro la targa della donazione dove è scritto. “Insieme a tutte le creature, cantando camminiamo su questa terra cercando Dio. Le nostre lotte e preoccupazioni per il cibo quotidiano donatoci dalla nostra terra, ravvivano la gioia della speranza. Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio” (29/01/2015). Lasciamo Sakalalina e prendiamo la strada per andare a trovare padre Maurice che ha creato una scuola agricola in una zona sperduta. Per la strada ci imbattiamo su un gruppo di ragazzi in corsa che portano sulle spalle una bara per raggiungere la tomba di famiglia in un villaggio lontano. Quanta polvere abbiamo mangiato percorrendo strade sterrate, dissestate. Ci fermiamo più avanti a vedere il lavoro di uomini che scavano la terra in profondità per cercare la Tormalina. Fanno dei pozzi mettendo nella circonferenza scavata rami piegati a forma di cerchio tutto attorno all’interno del foro dall’alto in basso.  Con argano improvvisato fatto con dei legni, calano una corda con attaccato un sacco di tela e, all’improvviso l’ometto sepolto dentro al pozzo viene fuori sorridendo preceduto dal sacco pieno di melma, fango, pietre, è tutt’uno con la terra ma sorride e Padre Giangi ci spiega che la tormalina è una pietra azzurrina che a loro viene pagata una miseria ma poi viene venduta sui mercati internazionali. Il Madagascar è una terra ricca di pietre: marine, topazi, oro, pietre dure, ma il popolo viene sfruttato dalle multinazionali, questo è un grave problema.

Arriviamo da padre Maurice, un prete malgascio che tenta di far aprire gli occhi ai giovani che vivono in aperta campagna e seguono la cultura malgascia di seguire lo zebù dalla mattina alla sera e non fare altro se non procurarsi il cibo per sopravvivere. Lui insegna a coltivare le piante, il mais, ma poiché c’è siccità non si vedono i frutti e i ragazzi si stancano e pochi lo seguono. Dedica la sua vita a loro e ci ha detto che vuole che questi giovani vengano fuori con idee nuove. A questo scopo manda uno di loro ad un corso per veterinario, in modo che possa curare gli zebù malati. Padre Maurice ci ha offerto un buon pranzetto a base di riso e pollo cotto alla brace e papaia. Mentre mangiavamo le gallinelle entravano e uscivano e ci facevano compagnia con i loro co.co.co, poi si è presentata una signora, non sappiamo da dove sbucata in mezzo a quella steppa, che vendeva pesce di risaia, noi lo abbiamo comperato e lasciato a Maurice. Nel viaggio di ritorno P. Giangi ci ha detto che questo popolo è stato sempre dominato, prima dai francesi colonizzatori, ora sfruttato dai cinesi che acquistano gli zebù a prezzi ridicoli, costruiscono grandi recinti, li uccidono, congelano la carne e la spediscono in Cina.  Che roba!!! Ci ha poi raccontato delle difficoltà per far uscire dal paese un malgascio. Per far venire Haja e Renè in Italia alcuni anni fa, ha dovuto inviare al governo una lettera di invito, poi firmare una fidejussione a garanzia del loro ritorno sia vivi che morti. E’ una cosa assurda!!!  Qui nessuno ha il passaporto, la maggior parte non è neanche segnata all’anagrafe, molti non sanno la loro età precisa, la maggior parte è analfabeta.

La maggior parte dei bambini non va a scuola vive alla giornata, cercando cibo per la famiglia. Piantano la manioca la raccolgono, la mangiano e la vendono. Le famiglie sono molto unite e tutti lavorano, la famiglia è allargata, gli zii sono papà e le zie mamme e lavorano tutti insieme; c’è molto senso comunitario della vita. Si parla, si dialoga per ore e ore serenamente (cosa che da noi si è perduta); dedicano il tempo ad ascoltarsi. Che cosa bella ho riscoperto in questa gente!

21 gennaio sabato.

Partenza per Ivandrona, il villaggio del padre di Haja. Percorriamo strade sterrate non con buche ma con solchi enormi e terra rossa, di un rosso fuoco e gente ai lati delle strade, strade vive, strade di vita o vita sulla strada. Vedo uomini con un bastone sulla spalla e dietro, come bisaccia, un fardello di carne di zebù macellato da portare a casa o comperato o preso dalla festa di un funerale perché ad ogni funerale si ammazza uno zebù e tutto il parentado va a mangiare e mangia per giorni e giorni finché non è finita la scorta di carne. Si aspetta un funerale per poter mangiare un po’ di carne, anziché solo manioca o riso. Più avanti ci fermiamo ad un villaggio di capanne di terra rossa e tetti di paglia, i bimbi sono sempre lì che ci seguono un po’ intimoriti ma curiosi, bimbi a frotte che sbucano da tutte le parti e di tutte le età. I “vasa” gli uomini bianchi, subito tiro fuori le caramelle e le porgo, con una manina sopra l’altra, scalzi, smoccolati, stracciati; ti sorridono, è commozione. Mi affaccio dentro a una casa di pietra rossa, le pareti all’interno sono nere, per tetto c’è il cielo perché la paglia è caduta, un cane magrissimo è sdraiato sulle scale di pietra portate a mano, frutto di sudore. Qui nella immensa povertà c’è un connubio profondo tra natura, animali e uomini. Riprendo una gallina che becca il fieno degli zebù, tutto è genuino. “Salama, salama” saluta padre Giangi. Gli anziani si avvicinano e ci accompagnano ad un bacino vuoto, senza acqua, costruito dal padre Giangi 3 anni fa. La sorgente è su una collina lontana e non l’abbiamo raggiunta, l’acquedotto che forniva l’acqua a fontane di diversi villaggi è prosciugato. Riprendiamo la strada, tanta gente, tanta vita in fermento, in cammino, vita laboriosa. Ci fermiamo a vedere la battitura a mano del riso e famiglie intere bimbi e adulti che trasportano fascine. Tutto serve del riso, nulla va sprecato: la paglia per i tetti, la pula per cuocere i mattoni fatti a mano lavoro a catena; nelle risaie si raccoglie, ai lati della strada si batte il riso. Più avanti vendono i mattoni, tutto il lavoro di questa gente lo vedi “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” si può ben dire. Noi in Europa non vediamo tutto questo, abbiamo il prodotto nei supermercati già finito, non vediamo la fatica manuale di tanti uomini sfruttati, pagati niente che sudano per tirar fuori i frutti della terra per poter sopravvivere. Per me è tutto nuovo, è tutto da scoprire. Dovevo arrivare a 60 anni per vedere come si vive di niente, ma di tutto. Più avanti sopra un ponte, bimbi che giocano con una ruota di bicicletta, non è un pallone, non è un giocattolo, ma la ruota; con essa ci si esprime, è un tutt’uno con il bambino, la fa ruzzolare, roteare, corre a riprenderla, la passa ad altri compagni, è gioia. Un ragazzo cammina in equilibrio sulla balaustra di un ponte, forse l’unica perché i ponti qui non hanno protezioni laterali. Passiamo oltre, mercato ovunque o direttamente per terra o su bancarelle improvvisate su 4 tavole e sopra del pesce di fiume, o pezzi di zebù conditi con mosche e papaya, mango, noccioline. C’è vita, vita nelle strade, tutto è vita. Più avanti ci fermiamo a vedere che anziché battuto a mano, in una pietra, o sbattuto a terra, il riso passa dentro a una macchina che lo separa dalla pula. Il riso fatto cadere da un imbuto superiore passa in rulli meccanici e viene fuori pulito. Intanto per strada sta passando un carretto carico di mattoni trainato da 2 zebù legati insieme da un palo di legno, questi animali vengono adoperati per il trasporto e per il lavoro dei campi. Arriviamo in un altro villaggio, i bimbi ci aspettano sopra a un poggiolo, sono curiosi di vedere come sono fatti questi bianchi, distribuisco caramelle e faccio delle foto e anche i grandi sono contenti di esser fotografati, quando faccio vedere la foto sono meravigliati e ci stanno tutti attorno, ci circondano, ci coronano, ci accompagnano passo dopo passo. Ci sentiamo accolti da persone sconosciute anche se nel cuore mi sembra di conoscerle da sempre e di averle ritrovate. E’ il mondo dei semplici, dei genuini, è il mondo di   espressioni vere, naturali, tutto un altro modo di concepire la vita e di vivere. In questo villaggio vive il padre di Haja e qui P. Giangi ha sfruttato una sorgente d’acqua per portarla in un grande serbatoio che alimentava diverse fontanelle, ma purtroppo siamo andati a verificare che, per mancanza di manutenzione, l’acqua arriva soltanto a due delle 10 fontanelle. Certo queste persone devono cambiare mentalità, hanno il culto degli zebù e stanno tutto il giorno a custodirli con sacra dedizione e non capiscono che l’acqua è molto più importante. Preferiscono fare km per prendere l’acqua nei rigagnoli piuttosto che fare un po’ di manutenzione. Abbiamo partecipato ad una riunione di tutto il villaggio per questo problema e abbiamo detto che possiamo aiutarli se loro dimostrano buona volontà a fare la loro parte. Sono molto poveri e c’è tanta siccità e ce ne sarà sempre di più. Durante la riunione molti stavano a capo chino per la vergogna mentre padre Giangi li sgridava per la loro negligenza, puntualizzando che quell’acquedotto era stato costruito con il denaro di genitori che avevano perso un figlio in un incidente stradale. Hanno promesso che eleggeranno un nuovo comitato per la gestione dell’acquedotto e faranno un fondo cassa per la manutenzione. Quindi siamo ritornati a Fianarantsoa.

22 gennaio domenica. 

Siamo tornati alla casa famiglia, la moglie di Haja è la responsabile. E’ stata fondata nel 2004 e allora dei bambini se ne occupava la mamma di Haja. I ragazzi più grandi fanno da animatori. Si alzano alle 5 del mattino perché la scuola inizia alle 7 e devono fare tanti km per arrivarci, tornano alle 12 e alle 14,30 ripartono per rientrare alle 18. E’ domenica, le ragazze puliscono i cetrioli per il pranzo, anche per noi, io mi unisco a loro e sono felici, scatto qualche foto, inizio a cantare “Se sei felice” e loro..meraviglia, la sanno e cantano con me, poi la ricantano in malgascio e fanno di tutto per insegnarmi le parole ma ahimè è una lingua complessa. Stanno al gioco, basta niente e fanno festa con un bel balletto. I ragazzi della casa famiglia vengono presi dalle campagne sperdute dove hanno meno di niente.

Ora tutti alla Messa. Al 2° piano c’è una grande stanza e lì la liturgia preceduta dalla benedizione per i ragazzi che devono dare l’esame di maturità. Si usa molto benedire le persone e anche noi quattro abbiamo benedetto uno a uno questi ragazzi aspergendoli con un ramoscello di foglie verdi e acqua benedetta. La S. Messa è stata una vera festa con canti, balli, preghiere spontanee per noi, felici di averci con loro. Dopo la Messa siamo andati a trovare una educatrice che stava male. Era nella sua cameretta e ci ha raccontato per più di un’ora che le girava la testa e che era molto triste e malata perché le era morta una zia. In questo paese c’è la cultura del dialogo e dell’ascolto, ma la comunicazione avviene anche con uno sguardo, un gesto, una espressione, anche con il semplice silenzio che è condivisione.

Dopo, tutti a pranzo. Ci hanno dato il posto d’onore su un tavolo apparecchiato con una bella tovaglia bianca, la preghiera comunitaria e riso con foglie di manioca, per frutta uva e pesche. Durante il pranzo padre Giangi chiede ai ragazzi che finiscono la maturità quale progetto di vita hanno. Molti vorrebbero continuare gli studi, ma dicono che i genitori sono poveri.. e si mettono seduti comunque sorridendo… è silenzio di condivisione.

23 gennaio lunedì.

Tutto il giorno alla casa famiglia. Silverio e Ugo devono aggiustare le inferiate delle finestre, i tubi delle grondaie, sostituire i vetri rotti, riparare il ping pong, ecc… Sandra e io abbiamo aggiustato le carte geografiche, e pulito tutte le camere dei ragazzi. Troviamo per fortuna dentro a un baule dei panni verdi donati da un ospedale italiano e li usiamo per pulire per terra. E’ mattina e la casa non risuona dell’allegro vociare dei ragazzi perché sono a scuola, ma qualcuno c’è. Cominciamo a pulire e sbucano fuori gli animatori pronti ad aiutarci. E’ il momento di passare lo straccio ma..non c’è acqua, in bagno c’è un solo recipiente, per le urgenze. Ne prendo pochissima, diciamo quella di 5 bicchieri, che roba..che bene prezioso l’acqua. Mi accorgo, passando per le camere che molti di loro in fondo al letto a castello ne hanno un po’ nascosta dentro a una bottiglia di plastica, acqua sporca ma preziosa perché altra non ce n’è. Non mi azzardo a prenderla, non so come fare per pulire questo pavimento. Il tempo passa in fretta, è mezzogiorno arrivano i ragazzi e quando ci vedono uno alla volta vengono a salutarci “salama” e non ciao ciao (vuol dire quaglia) e ridono. Ci fanno festa e subito si mettono al lavoro, ci aiutano a pulire i vetri e poi apparecchiano. Il pranzo è pronto: riso per tutti, riso e sorriso con foglie lesse di manioca scondito e senza sale. Dopo pranzo mentre Silverio e Ugo aggiustano le finestre, io cerco di pulire il biliardino veramente sudicio ma non sono sola; alcune ragazzine fanno a gara per avere uno di quei bellissimi panni verdi tra le mani. Poi via, ritornano a scuola e noi con l’educatrice ci mettiamo a pulire la manioca per la cena. La cucina è un forno a legna alimentata da legni di eucalipto. Sopra c’è una pentola pesantissima di ferro dove bolle la manioca. Silverio e Ugo stanno mettendo un campanello nuovo per la sveglia del mattino che fa un rumore assordante. Tornati da scuola i ragazzi ci trovano ancona lì e sono felici “salama” “salama” e mi insegnano a pulire il riso dalla pula e dalle sporcizie rimaste. Ci provo anch’io e sono felici di avermi lì seduta accanto a loro a fare lo stesso lavoro, mi guardano e sorridono.. sono una di loro, hanno capito  che

Siamo qui per loro ma ancora prima sono loro per noi.            

24 gennaio martedì. Visita alla foresta pluviale di Ranomafana.

La guida ci indica subito un’erba particolare che appena la tocchi abbassa le foglie, ci sono liane, una foresta intricatissima, alberi dall’alto fusto che lasciano intravedere tra le foglie l’azzurro del cielo limpido. Mi fermo ad osservare una grande ragnatela tenuta con cura da un signor ragno che lì in mezzo ne va fiero e, lassù in alto i lemuri dal muso rosso..hanno delle lunghe code e sembrano scimmie. Stanno in gruppi di famiglie e balzano da un ramo all’altro, si riposano appollaiati sugli alberi con le lunghe code che penzolano giù. Sono proprio curiosi. Poi la guida prende tra le mani un serpentello e ci gioca, anche Ugo lo prende in mano, io a una certa distanza guardo; di seguito ci inoltriamo nella fitta vegetazione scavalcando radici, districandoci tra le liane per osservare da vicino qualche famiglia di lemuri. La natura ci accoglie e sfodera al sole tutti i riflessi di verde possibili e immaginabili; che spettacolo, rimango incantata a vedere con gli occhi e a sentire ad occhi chiusi il canto assordante delle cicale tra l’intreccio degli alberi e il gorgoglio del torrente su un letto di sfavillanti rocce. E’ un’immersione totale, stiamo bene, siamo anche noi come i lemuri “mora mora” felici di stare lì.Haja, il nostro fedele amico e guida, ci sorride e ci accompagna a mangiare un boccone in una locanda a prezzi stracciati. Oggi fagioli e zebù. Un ragazzo si avvicina, vende delle spezie, ma ci sorride soltanto, non chiede, chissà quanti km a piedi avrà fatto ma è lì per tutto il tempo del nostro pranzo seduto sulle scale con al collo 2 corde che sostengono una tavola piena di spezie. Compro 3 bustine di cherry poi via…si riparte, oggi è giorno di relax e  Haja vuole portarci alle terme naturali, un parco da favola: un ponticello di legno, sotto zebù che si tuffano in acqua per rinfrescarsi un po’, un ragazzo porta sulle spalle un grande bastone con 2 caschi di banane, dei bambini sguazzano felici in mezzo alla poca acqua melmosa, Haja ci dice che cercano gamberi d’acqua dolce o pesci; che cosa strana, mai visto,ma tutto rientra nel gioco e nello spettacolo che questa terra vergine ci offre: fiori gialli, banani, sole..ma le terme sono chiuse proprio oggi c’è il ricambio dell’acqua. Haja è molto dispiaciuto; ci ha detto che lui una volta all’anno porta qui la sua famiglia. Fotografo piante e bacche autoctone che esistono solo qui.

Un ragazzo solleva in alto un filo con attaccati tutti i pesci che è riuscito a pescare, è fiero del suo bottino, potrà mangiare. Mi avvicino a un bimbo sporco all’inverosimile che mangia con gusto su una ciotola di riso, mentre la sorellina seduta per terra si gratta un piede e mi sorride, capite, mi sorride; non ha niente, ma ha tutto, il suo sorriso è tutto. Lì su una tavola ci sono delle banane a seccare mentre io mimo una venditrice locale seduta sotto una capanna, Silverio mi sorride contento. Facciamo la strada di ritorno ma ci dobbiamo fermare perché padre Giangi ha telefonato a Haja e gli ha chiesto di comperare dei litchi da piantare poi a Ioshy. Ci fermiamo e mentre Haja contratta l’acquisto osserviamo persone che poco più in là battono il riso e ci salutano. Ci fermiamo ad ammirare una bella cascata spumeggiante e poi rari campi di risaie verdeggianti. La giornata si conclude al nostro albergo di Fianarantsoa; abbiamo comprato un ananas (pagato 1.000 ariari cioè 33 centesimi di euro) e ce lo mangeremo avidamente perché qui la frutta è speciale, sa di cielo, di terra di sole.

25 gennaio mercoledì.

Oggi andiamo alla casa famiglia a lavorare, prima di andare acquistiamo 60 kg di zucchero, il riso e i detersivi per pulire oltre alle saponette, bagnoschiuma, caramelle da lasciare ai ragazzi. Il giorno precedente mi sono accorta dello stato pietoso dei bagni e questa mattina li voglio pulire mentre Silverio e Ugo finiscono di aggiustare i canali pluviali e altri lavoretti. Sandra pulisce i vetri. Mi appresto con tanta buona volontà a pulire ma…è un’impresa.. “come farò da sola”…penso. Mi giro, vicino a me c’è un ragazzino che con lo straccio in mano mi guarda, aspetta ordini, mi vuole aiutare. Subito gli do i guanti e iniziamo. Ogni tanto ci fermiamo, ci guardiamo sudati e affaticati, alla fine siamo contenti pensando agli amici che, tornando da scuola, troveranno i bagni puliti.   “Io mi chiamo Maria, tu come ti chiami?”  Io Angel. Dai miei occhi scendono due lacrime di commozione.

Come l’altro giorno i ragazzi tornano da scuola e ci salutano felici, il nostro lavoro è finito e non ci fermeremo a pranzo, ma loro non lo sanno. Vado in cucina e vedo che stanno preparando delle patate fritte, sono poche, una cade a terra e in un attimo è sparita, ma per chi sono queste patate? Per noi? Ci salutano con tristezza, sembra che non ci possiamo staccare, non è un addio è un “veloma” un arrivederci. Li fotografo da lontano mentre Haja suona il clacson. Ho! sono rimasta solo io, gli altri sono già tutti in macchina devo affrettarmi: “arrivo, arrivo”. Oggi pomeriggio siamo andati alla fabbrica del te. Sono con noi i tre bimbi di Haja. Per la strada incontriamo uomini con sulle spalle tronchi da vendere per impalcature. Arriviamo alla fabbrica dove le foglie del te vengono appese dentro a delle reti e trasportate sopra a dei tavoli,  qui degli operai le svuotano e vengono essiccate per togliere il 30% di umidità mediante delle ventole , poi il te viene frantumato, passato al forno nell’essiccatoio quindi quello nero viene lasciato fermentare e per questo motivo contiene teina,quello  verde invece proviene dalla stessa pianta ma non viene  fermentato perciò è migliore perché non contiene teina. Dopo la fermentazione il te nero viene selezionato e passato in diversi rulli, passa, si frantuma e diventa più o meno grosso e più raffinato, quello più fino è più forte; ci fanno vedere 5 formati diversi. Il te pronto viene venduto nei mercati europei. Fuori mi fermo a fotografare una palma particolare a forma di ventaglio che si trova solo in quest’isola.

Passiamo per villaggi e la strada è tutto, è casa, è negozio, è gioco, è lavoro.

Mi sorprendo ancora una volta ad osservare il lavoro delle pietre frantumate col martello, tutto lavoro di braccia per fare sassi da vendere, e la terra rossa risplende in questo stupendo tramontar del sole, ci fermiamo a comprare un po’ di banane e due ragazze timide ci presentano la loro frutta da vendere, 7/8 banane, se pur piccole ma squisite, neanche 10 centesimi e sono felici che abbiamo comperato da loro, ci sorridono, un sorriso semplice, immediato, vero.

26 gennaio giovedì. Ritorniamo a Ioshy.

Sui campi persone che piantano il riso tra la melma, via vai di gente, bimbi che vanno a scuola, un formicaio laborioso di buon mattino perché alle 7 già sono a scuola. Ci fermiamo a visitare la fabbrica della carta. La pianta si chiama Avoha e viene fatta essiccare e cuocere finché diventa gommosa, viene poi battuta e diventa come una palla di pongo appiccicosa che va stesa su lastre larghe di cemento, diluita con acqua e mescolata con il cotone. Quindi l’acqua viene tolta da un canaletto e sopra vengono messi dei fiori freschi, sopra ai fiori un altro strato di questo impasto, il tutto va essiccato al sole per poi essere tagliato in fogli e venduto per album, cartoline, porta foto ecc.. tutto questo a mano, mani laboriose di gente artigiana. Al negozio ho  comperato un portafoto e un quadretto. Nel giardino antistante buganvillee e altri fiori esotici si affacciano al sole e il cielo azzurro da sfondo valorizza i colori caldi, una pianta espone al cielo le sue foglie e io lì, contemplo, è tutto luce, è tutto calore, è tutto vita. Si riparte per il parco di Anja, qui rimaniamo sorpresi perché ci vivono tante famiglie di lemuri Kata: più belli, più grandi, e molto vicini. Non hanno paura e sembra che si mettono in posa per essere fotografati, noi però in silenzio, con un profondo rispetto nei loro confronti, fanno tenerezza, incrocio gli occhi di un lemure che sensazione….mi batte il cuore, con le zampette prendono i rami portando le bacche alla bocca, sembrano le nostre mani, poi d’un tratto balzano da un ramo all’altro ora qui, ora la. Che spettacolo di vita, la vita tra gli alberi. Ecco altri lemuri sdraiati su una pietra con i loro musetti bianchi, gli occhi e il naso neri e il corpo bianco e nocciolino e la lunga coda a strisce verticali bianche e nere “lemuri juventini” dice Silverio, stanno lì seduti sugli alberi.  E’ l’ora della siesta.

Più avanti un grosso geco e un albero con delle radici esterne avvinghiate alla roccia che formano come un dipinto d’autore. Un serpentello verde e bianco ci passa accanto, la guida ci fa notare anche due insetti autoctoni e un grosso camaleonte che cammina lentamente sul ramo di un albero, mi sforzo di osservarlo perché, devo dire la verità poverino, mi fa un po’ ribrezzo. Poi via verso Ioshy, passiamo per villaggi e villaggi, lungo le strade gran vita, gran traffico ma non di auto ma di gente. Arriviamo a Ioshy, alla base Fifaliana. E’ stata costruita 2 anni fa; Padre Giangi ha messo questo nome per ricordare l’enciclica di papa Francesco: “Amoris laetitiae”. I tramonti sono indimenticabili, costellazioni e stelle, stelle, siamo al tropico del capricorno e il cielo è limpido non ci sono luci artificiali, manca l’elettricità, si sta al lume di candela e della luna. Si va a dormire presto alle 20 e ci si sveglia alle 4. Al risveglio odore intenso di legna bruciata che ti chiude le narici e la gola, odore dolciastro di manioca che Lidia ha già messo nella pentola di ferro a far cuocere prima di recarsi al lavoro. Il marito sta fuori tutto il giorno a vendere uova e la sera quando rientra tiene la bimba in braccio, la mette a sedere nel marciapiede con vicino il gatto che le fa da guardia se si dovesse avvicinare qualche topolino o serpentello.

27 gennaio venerdì.

Al mattino tutti in jeep verso il profondo sud a ritrovare il villaggio dei Bara una delle 18 etnie presenti nel Madagascar. Padre Giangi è vissuto in quest’isola per 35 anni e i primi anni andava con la jeep a cercare villaggi e persone di cui nessuno conosceva l’esistenza e che vivevano vicino a corsi d’acqua. Ancora esistono persone che non sono censite e che non sanno quanti anni hanno e anche bambini, tantissimi non scolarizzati che per la società sono inesistenti. Così accade per questo villaggio dei Bara sperduto nella steppa. Abbiamo percorso strade sterrate con solchi profondi e poi niente più strada, campi, più volte siamo tornati indietro fino a quando padre Giangi ha riconosciuto un grande albero, punto di riferimento. Questo albero è sacro per i Bara, qui il capo villaggio, il più anziano, benedice i giovani che vogliono prendere nuove strade. Ci facciamo largo tra una mandria di zebù che pascolano tranquilli finché vediamo lontano delle capanne, ci siamo. Un nuvolo di bimbi fanno cucù timorosi e poi fuggono, siamo troppo diversi “i vasa” non hanno mai visto un bianco, ma la catechista ci da il benvenuto. Padre Giangi è stato per diversi anni in questo villaggio e ha lasciato questa signora allora bambina che tutti i giorni fa pregare la gente. E’ bastato poco, benedette caramelle, conquista è fatta, balli e canti, è gioia. Tutto il Villaggio è in festa attorno a noi. Mi sono fermata ad ammirare dei bimbi tutti intenti a guardare una nidiata di 3 uccellini appena nati, tenuti con cura dentro un cestino di giunco, è un quadretto unico, ammiro in silenzio. Accolti in casa dal capo villaggio, seduti su stuoie, abbiamo  assaporato mosche e riso, acqua di riso e gallina. Loro cuociono il riso nell’acqua senza mai girarlo per cui alla fine si crea attorno una crosta di riso bruciato. Tolto il riso rimettono l’acqua e la fanno bollire e viene fuori un’acqua di riso colorata (del bruciato laterale) che sa di orzo e la servono bollente, questa accompagna il pranzo. Le donne entrano in ginocchio e ci servono il cibo e escono sempre in ginocchio senza voltarci le spalle.

Padre Giangi intona la preghiera iniziale e,… buon appetito. Dopo pranzo usciamo dalla porta e..tutti attorno…ma sì, lascio andare la bambina che è in me e comincio a cantare la danza del serpente, vogliono essere coinvolti, pendono dalle nostre labbra, aspettano da noi non so cosa, ma senz’altro desiderano qualcosa pur di potersi divertire insieme a noi.

Sono veramente stupendi, genuini, tutto un altro modo di concepire la vita, un proverbio malgascio dice: “anche se abbiamo una cavalletta, la dividiamo in due pur di condividere un po’ di companatico insieme”. Ma perché siamo venuti qui, in questo villaggio sperduto? Il motivo è stato un incontro a Fianarantsoa di P. Giangi con una ragazza di questo posto che studia all’università; lo ha informato che la scuola che lui aveva costruito 13 anni prima non ha più il tetto e non è più praticabile, quindi i bimbi non vanno a scuola.   Ecco perché siamo qui dove ci hanno accompagnato (tutto il villaggio in processione dietro di noi) a vedere i resti della scuola. Certo, con un po’di buona volontà il tetto lo potevano rifare no?  Ma come si fa a cambiare la testa? Che rabbia. Alla fine abbiamo dato un contributo per ricostruire il tetto e ci hanno promesso che lo faranno, anzi ci hanno invitato l’anno prossimo per l’inaugurazione. Non c’è televisione, né cinema, né niente, solo natura, ma oggi siamo stati il vero cinema per loro, tutti ci seguivano e volevano farci partecipi dei loro lavori manuali, di corsa tutti in fila per i campi fino ad un grande spazio nel prato dove ci hanno fatto vedere come si pulisce il riso dalla pula battendo con dei tronchi di legno dentro a dei mortai di pietra e tutto è lavoro in festa. Ci hanno fatto vedere come lavorano le stuoie intrecciando giunchi e livellandoli con le mascelle degli zebù a mo’ di pettine (i denti) e poi… sorpresa: al momento di partire ci hanno offerto dei doni: una stuoia e una ciotola di giunco e tutti attorno al fuoristrada, non ci lasciavano partire, con i loro grandi occhi puntati su di noi in attesa sempre di un nostro cenno, incredibile, che grande emozione ho provato. In macchina, nel sedile di dietro le mosche mi facevano corona tutte lì, e con me sono salite due ragazze bara che hanno approfittato del mezzo per lasciare il villaggio e andare a studiare a Fianarantsoa  all’università. Una di loro ha detto che vuole fare la giudice per difendere la sua gente. Torniamo alla casa base e anche questa sera abbiamo 4 ospiti, cucineremo con niente, altro che in Italia, ma alla fine a tavola c’è sempre tutto. Gli gnocchi di zucca presa dall’ orto, cucinati con la ricetta di Sandra, la papaia del giardino, il parmigiano portato dall’Italia e i cetrioli conditi con olio italiano.

 28 gennaio sabato.

Giornata di relax, gli uomini lavorano spostando tavole e sistemando le cose nel container. Sandra e io sgusciamo i litchi e li mettiamo al sole, facciamo il bucato che si asciuga subito al sole caldo di 40°, è luce, è una vita semplice, campestre. Poi tutti al mercato di Ioshy.

Fotografo una vecchietta che sta sempre lì seduta su quello scalino, una donna che vende carbone mi guarda e mi sorride, per la strada si vive, è l’ora di pranzo e si cucina con i fornelletti allineati pieni di carbonella, sopra pentole pesanti di ferro, dentro manioca o riso. Osservo un ragazzino che per proteggere il fratellino dai raggi cocenti del sole lo ha messo sopra ad una stuoia sotto a un camion fermo, all’ombra, ma al primo pianto con tanta tenerezza lo ha preso e lo ha coccolato tra le braccia..che emozione! Qui c’è molto il senso della famiglia, non si accettano adozioni internazionali, solo all’interno dell’isola rossa e in casi particolari perché le famiglie sono allargate in piccoli clan.

E’ veramente caldo non si resiste al sole, fotografo un bimbo che mi guarda da dentro uno scatolone lì per la strada, il padre sdraiato accanto.

Prendiamo la strada di casa e Haja scende per aiutare un poveretto che non ce la fa a spostare un carretto pieno di masserizie, per noi mondezza, per lui importantissime. Finalmente vediamo un baobab, quelli grandi sono troppo lontani e lo scopo del nostro viaggio non è turistico ma di servizio perciò ci accontentiamo di due piccoli ma bellissimi baobab che ci sono vicino casa davanti alla chiesa di S. Vincenzo de Paoli. Hanno un fascino particolare  sia per la corteccia che per le fronde e le foglie, sembrano usciti da una favola. Alla sera sempre ospiti a cena, questa sera è solo un fabbro che deve costruire una carretta, ci dice che è felice di essere a tavola con noi. La giornata si conclude con delle foto ricordo. Haja indossa la camicia di Giacomo che gli abbiamo regalato. La serata è incantata, il cielo azzurro, un tramonto da sogno.

29 gennaio domenica.

Tutti da René a Andoharanomaitso. S. Messa con gli operai e pranzo. Per strada ci fermiamo a vedere il livello dell’acqua della diga, c’è tanta siccità non è piovuto, ma per fortuna il livello non si è abbassato perché c’è una piccola vena che ha alimentato il bacino. Arrivati, René, sua madre e tutti gli operai ci hanno accolto. Quando padre Giangi ha iniziato la sua missione Renè è stato il primo operaio che ha incontrato e lo ha accompagnato nel suo grande progetto; è il suo uomo di fiducia, responsabile dell’allevamento. Qui a Andoharanomaitso sta costruendo un edificio di 3 piani. C’è un grande appezzamento di terra dove coltivano mais, manioca, riso e ha assunto degli operai stagionali. Padre Giangi ha celebrato la Messa ed è stato bello condividere la preghiera con questi giovani che hanno lasciato moglie e figli a 200/300 km di distanza per poter guadagnare qualcosa per vivere. Che raccoglimento, che espressione del cuore, ognuno di loro si è presentato e ha detto una preghiera, hanno anche ringraziato il Signore per la nostra presenza e ci hanno allietato con canti malgasci natalizi uno dei quali diceva che la Madonna accudiva Gesù, Giuseppe accudiva l’asino e il bue, canzoni non mielate, ma frutto della loro concreta esperienza di vita dura. Insomma questa Messa, celebrata il giorno prima della nostra partenza dentro questo palazzo in costruzione, attraverso la luce filtrata dall’alto tra gli architravi, ha aperto il cuore verso un futuro di speranza per questo popolo in cammino, in comunione profonda tra noi invocando lo Spirito che illumini tutti per essere un cuor solo. Dopo la Messa ci hanno dedicato canti a ritmo malgascio a diverse voci; e poi il pranzo, riso, foglie di manioca in brodo e carne, per frutta papaya dolcissima.

Quel giorno dovevamo andare a portare maglie, caramelle, saponi a Giuseppe per la sua numerosa famiglia; eravamo già andati a trovarlo ma  desideravamo ritornare perché ci aveva colpito lo stato misero e selvaggio in cui viveva. Padre Giangi mi dice: “Maria volevi andare da Giuseppe, Giuseppe è venuto qui, è di sotto”. Sono scesa e Giuseppe si è presentato con uno dei figli più piccoli che mi guardava serio con quegli occhioni grandi e portava, accoccolata tra le braccia, tenuta con tanto amore, una gallina faraona: era il regalo per me. Sono rimasta molto sorpresa, avrei voluto restituirla a quel bimbo che la teneva così stretta, era il bene più prezioso che possedeva, ma padre Giangi mi ha detto che dovevo accettare, Giuseppe l’aveva cacciata per me. Nel pomeriggio terza visita al carcere.  Avevamo promesso alle donne che avremmo portato due secchi per lavare i panni perché quello che avevano era rotto. Appena aperto il cancello 350 persone si sono sedute a terra davanti a noi felici di rivederci. Abbiamo portato due giacche a vento e delle maglie dei nostri figli per i malati che in fila le hanno ricevute. Poi 120 kapoke di riso per i malati e le donne. Che groppo alla gola, che grande commozione si prova entrando in questo carcere, non sei nessuno e loro fanno festa perché ci sei, sei lì con loro. Io Maria, qui ho preso coscienza di me, di essere nient’altro che Maria, una semplice e felice creatura di Dio. Le maglie!  Avrei voluto averne 350 per tutti.

Molti sono a torso nudo, altri indossano stracci sporchi, rotti, e noi se non va alla moda scartiamo…che roba. In mezzo alla melma rossa il pentolone di ferro con a bagno la manioca da ammorbidire per poi cucinarla, il tutto nella catapecchia nera al centro del cortile. Ho dato una corona del rosario ad un ragazzo che la volta precedente me l’aveva chiesta ed è stato felice; mi ero ricordata di lui, era uno dei pochi che non l’aveva ancora. Padre Giangi  le aveva date a tutti e molti le portano al collo. Mi è rimasto nel cuore come la prima volta alla Messa si erano messi i vestiti più belli e avevano chiesto perdono accorato al Signore per i loro peccati dovuti soprattutto a furti di zebù per fame. Ultima sera a casa Fifaliana “letizia” abbiamo con noi René, la moglie Claire Jean Paul, uno dei responsabili dello allevamento. Cuciniamo gnocchi di zucca, per frutta un grosso cocomero i cui semi sono stati portati dall’Italia, lo mangiamo insieme. Prima di cena aiuto Lidia a lavare una catasta di panni di tutta la settimana.

30 gennaio lunedì.

Partenza per Fianarantsoa, abbiamo caricato i bagagli ma la macchina non

Vuol sapere di parti e, mora mora, finalmente in qualche modo alle 12 partiamo; bambini che ci salutano felici, rappresentano tutto il Madagascar. Pernottiamo a Fianarantsoa.

31 gennaio martedì.

Partenza per Antananarivo. Per strada si vende acqua, poi fuori della città

Il verde dei prati, è tutta l’isola rossa nel suo splendore. Arriviamo alla tenue luce del tramonto.

1 febbraio mercoledì.

Antananarivo: aereo ore 1,20. Ore 14 arrivo a Venezia, ritorno a casa.

Ora che abbiamo terminato questo viaggio credo proprio che sia stato voluto dal cielo. Ancora ci domandiamo perché il Signore ci ha voluti laggiù; non lo sappiamo, ma siamo più ricchi perché portiamo nel cuore la sofferenza, le paure, le contraddizioni e le speranze di questo popolo in cammino che sentiamo vicino e che desideriamo aiutare non a sopravvivere ma a vivere.  

 Da sempre ho chiesto al Signore di allargare il mio cuore al mondo intero così che la mia preghiera abbracciasse tutti gli uomini della terra. Mi ha esaudito! Sono andata e porto con me il volto di tutti questi fratelli.

Grazie Padre Giangi che ci hai accompagnati in questa nuova esperienza, per tanti anni hai cercato di educare questa gente a risorgere con le proprie forze. Grazie perché ci hai fatto capire che quello che diamo non è niente di fronte a quello che riceviamo. C’è un’unica strada che percorre il Madagascar da nord a sud, è la strada di uomini in cammino, un popolo in cammino verso la giustizia e l’uguaglianza, ma non sono più soli, fratelli di tutto il mondo camminano al loro fianco.

 Madagascar 12 gennaio – 1 febbraio 2017

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Viaggio di ottobre 2016

Qualche foto del viaggio di ottobre 2016. Un gruppo di otto bergamaschi capeggiati da Fabio Forcella,  diretto in Madagascar.
Partendo da Antananarivo, il gruppo si è spinto a sud sino al Parco dell’Isalo per poi ritornare in capitale. In totale di 1800 km! Ecco qualche scatto di questa bellissima e intensa esperienza.

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Cronaca del viaggio in Madagascar dall’1 al 16 ottobre 2016

iI 1° ottobre un gruppo di 8 persone è partito per il Madagascar con Fabio, il nostro amico e consigliere di UnicoSole.

Il 4 ottobre sono state inaugurate le aule delle scuole di Vatoavo: ecco le foto che ci hanno inviato.

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Riportiamo di seguito il programma del viaggio.

Potete seguire direttamente i nostri amici su facebook di UnicoSole.

Programma di viaggio Madagascar 2016 (1 Ottobre – 16 Ottobre)

Sabato 1 : Viaggio Milano- Antananarivo, all’arrivo in tarda serata , cambio valuta euro\ariary e trasferimento in Hotel

Domenica 2: Sveglia ore 7 Al mattino Messa presso la comunità di Akamasoa nel pomeriggio partenza verso Sud, soste lungo la strada per visitare villaggi, piccoli laboratori di artigianato. Arrivo nel tardo pomeriggio ad Antsirabe dove si pernotterà.

Lunedi 3: Partenza ore 7.30 da Antsirabe alla volta di Manarinony, visita alla scuola elementare ed ai progetti finanziati negli scorsi anni. Nel pomeriggio visita della città di Ambositra dove si pernotterà ed al laboratorio di Artigianato (lavorazione del legno)

Martedi 4: partenza ore 6.30 per Tsarafidy, arrivo verso le ore 10.30. Inaugurazione delle 2 nuove aule della scuola media. Nel pomeriggio partenza per Fianarantsoa.

Mercoledì 5: Fianarantsoa , visita zone rurali nei dintorni della città

Giovedì 6: Partenza alle 6.30 visita della zona Mahaditra e i villaggi di P.Maurice , verifica progetti finanziati negli scorsi anni

Venerdì 7: Al mattino visita al mercato di Fianarantsoa. Nel pomeriggio visita alla casa accoglienza dell’associazione Rainay, se possibile orfanatrofio

Sabato 8: Partenza ore 6.30 per il parco di Ranomafana (foresta pluviale e bagno “termale”). Rientro a Fianarantsoa nel pomeriggio. In serata con i ragazzi delle associazioni, cena e momenti di festa con balli e canti

Domenica 9. Ore 7 partenza per Ihosy. Verso le 10 saremo a Ivandrika. Visita progetto agricolo Fifaliana, proseguimento per Sakalanina. Pranzo a Ihosy. Nel pomeriggio visita allevamento di Galline ovaiole di Ihosy e se possibile carcere e terreni di Marofivango. Pernottamento a Ihosy

Lunedì 10: Partenza ore 6.30 per Ranohira. Visita al parco dell’Isalo ( Piscine naturali e Canyon delle scimmie). Pernottamento a Ranohira

Martedì 11: mattinata libera relax, nella tarda mattinata partenza per Ambalavao con soste per visitare villaggi lungo il percorso. Pernottamento ad Ambalavao

Mercoledì 12: Ambalavao, visita mercato dei buoi e mercato del paese, al termine partenza per Fianarantsoa

Giovedì 13: Fianarantsoa. Visita progetti e piantagioni di the di Sambahavy

Venerdì14: Trasferimento Fianarantsoa Antananarivo con soste durante il tragitto per visitare piccoli villaggi. Pernottamento ad Antanarivo

Sabato 15: visita al progetto Akamasoa di Padre Pedro. Nel pomeriggio mercato dell’artigianato di Tana e preparazione per la partenza

Domenica 16: Volo ritorno Madagascar Italia

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Diario diMassimo, Volontariato involontario nella città di Ihosy – gennaio 2016

Introduzione

Partire per un viaggio deve avere un suo perché. Amore, avventura, voglia di sapere, curiosità, stavolta il viaggio aveva un obiettivo diverso. C’è in ballo una possibilità di lavoro, anomalo, come lo sono io, un qualche cosa da fare non ben definito su Reunion Island nell’arcipelago delle Mauritius.
Prendo la palla al balzo già che ci sono faccio un salto in Madagascar a  vedere cosa ha combinato in trent’anni di missione, mio cugino Giangi , che poi  sarebbe cugino di mia moglie ma poco  importa l’essenziale è ripartire, vedere un po’ di mondo, di terre lontane e diverse da calpestare. Tante volte il Giangi mi ha invitato nella terra dei Lemuri per una visita in quei luoghi lontani e colorati. Ho sempre declinato l’invito sapendo bene che andare laggiù non può essere  visto  come un viaggio di trekking ma di lavoro.

Non che questo mi spaventi, ma quando poi prendi un impegno con chi da tanti anni sta cercando di dare sollievo a una popolazione che è tra le più povere del mondo non si deve scherzare. Il motto del Giangi è accettare chi ti offre aiuto sfruttando le sue attitudini. Cioè se uno sa fare l’idraulico, fagli fare l’idraulico non l’insegnante. Così sono partito si, con l’intento di fare due passi ma mentre davo una mano a qualcuno che ne avesse davvero bisogno. Ecco come ho capito di essere un volontario involontario che partito per vedere un nuovo lavoro in terre lontane, ne ha trovato uno in fondo al suo cuore. Grazie Giangi per la lezione che mi hai dato, in venti giorni passati con te e gli altri amici ho diviso e condiviso un mondo lontano e sconosciuto pieno di contraddizioni e di sorrisi, quelli non mancavano mai, mai.

10 gennaio 2016. giorno 1 partenza x il Madagascar

Sono le 2,45 suona la sveglia, questa scena l’ho già vista altre volte, zaino da 70 Lt sulle spalle e quello da 20 di fronte, si parte. Sto cercando di unire un viaggio di piacere, incollarlo con della solidarietà, dipingerlo di cultura, con una spruzzata di interesse. Partirò da Linate per Parigi e arriverò ad  Antananarivo la capitale Malgascia dove passerò la notte, il mattino seguente con il pulmino noleggiato dall’associazione Unico Sole mi sposterò presso il villaggio di Ambositra dove parteciperò all’inaugurazione di una  scuola. Il  giorno seguente sempre con il pulmino arriveremo alla città di  Fianarantsoa.  E mercoledì con un taxi Brush (letteralmente taxi della savana) a Ihosy, dove siamo attesi da Mattia, cugino di seconda generazione che sta insegnando  Inglese ai ragazzi del posto. Uso i termini arriveremo e siamo  perché  contrariamente al solito non viaggio  da solo, sono in compagnia di 4 amici, Angelo, Elide, Luca e Sonia. L’idea è di fermarmi una decina di giorni, aiutando Angelo in alcune lavorazioni alle case del villaggio di Ihosy.
Trascorso questo periodo mi rifarò 600 km di taxi Bush e tornato alla capitale mi imbarcherò per l’isola di Reunion, nell’arcipelago delle Mascarene, meglio conosciute come Mauritius che dista 800 km a est nell’oceano Indiano. Qui aspetterò Giacomo per una opportunità un po’ particolare ma non voglio tediare nessuno parlando di lavoro. Mi voglio concentrare sul viaggio malgascio. Inizierò il mio racconto da molto lontano. Era l’otto settembre del 1982, io e mia moglie Maria ci siamo uniti in matrimonio nel santuario di Sant ‘Antonio a Luzzana. Il sacerdote che celebro’ la funzione era un novello prete con vocazione missionaria, tale Padre Gianluigi Colombi , cugino di mia moglie. Dopo pochi mesi e terminata la sua iniziazione in Sardegna, Giangi, lo chiamerò così per comodità, inizio’ la sua missione in Madagascar. Da allora sono passati 33 anni e io sono curioso di vedere cosa di buono abbia compiuto questo cugino, compaesano, missionario nella lontana isola africana. Naturalmente mi sono portato le scarpe da trekking e i sandali, spulciando google Heart ho visto dei bei percorsi da attraversare con tanto di laghi e cascate. Ora sono in aereo mancano ancora oltre 6 ore all’arrivo, ho pranzato e non sono  stanco, ma per mantenermi in forma faccio della ginnastica da seduto, chiuderò gli occhi per un paio di’ ore e leggero’ uno dei libri che mi sono portato. Sono molto eccitato al pensiero che nei prossimi  giorni attraverserò un bel pezzo di questa  stupenda isola, anche se non come vorrei, il tram di San Antonio dovrà aspettare qualche giorno sostituito da mezzi meccanici a 4 ruote. Chiudo così il mio primo giorno di diario, domani siamo al caldo e all’umido.
Buon cammino Bacelix

11 gennaio 2016 giorno 2 Antananarivo

Prima notte passata nella capitale del Madagascar, in un albergo a 20 minuti di pulmino dall’aeroporto. Tutto ok sveglia alle 6,30, una colazione abbondante e si parte per la diga, località che somiglia molto ai nostri mercatini di Natale. C’e infatti lungo il corso del fiume cittadino un argine pedonabile da dove si lascia spaziare lo sguardo su una parte della città che somiglia molto alla nostra città alta.
Sotto di me, alla mia sinistra serpeggiano sinuose le bancarelle con ogni genere di artigianato locale. Si va dai gusci di tartaruga ai fossili, alle macchine costruite con lattine delle bibite, ai più svariati oggetti in legno in pietra, la preziosissima vaniglia e altro ancora. Acquisto due acchiappa sogni per le mie nipotine Lidia e Viola e con Luca il membro più giovane della brigata mi avvio sull’argine a caccia di fotogrammi da inserire nell’album. Percorriamo il fiume per un paio di chilometri osservando curiosi l’estrazione della sabbia dal letto del fiume, la costruzioni di mattoni in terra cotta e le donne che allegre lavano i panni nell’acqua color caffè latte, non mancano pescatori e semplici  perditempo che come noi curiosano sull’argine.
Veniamo raggiunti dal resto del gruppo e in pulmino ce ne andiamo in un moderno centro commerciale a fare la spesa per la nostra sopravvivenza.
Pane, latte, birra, acqua e altri generi di prima necessita. Ci rimettiamo  in viaggio in una coda chilometrica che aggira la città, ci fermiamo a prendere la frutta, banane, ananas, mango in altre bancarelle sul percorso e seguendo il fiume scendiamo verso sud. Come sempre non vedo l’ora di uscire dalla città e vengo ripagato da una natura rigogliosa, dove l’uomo ci ha messo le mani vediamo distese di risaie che mano a mano salendo l’altipiano diventano a terrazze sempre più articolate e ben costruite. Sembra che il riso sia l’attività di punta di questa gente, aiutata dalla stagione dei monsoni che porta con sè quantità considerevoli di pioggia. Ci fermiamo a pranzo ai bordi della strada perché abbiamo individuato una stupenda cascata, e mentre le signore si prodigano in acquisti, noi maschietti prepariamo la pappa. Taglio un salame  portato da casa, sembra bollito a causa del caldo ma e’ ancora mangiabile, il grana, e poi passiamo alla frutta. Banane a go go e ananas dolcissimo, fa caldo le nuvole che nascondevano il sole sono sparite, è meglio ripartire. 

La strada bella e liscia comincia a farsi piena di curve, saliscendi e buche  grandi da ingoiare uno zebù, che troviamo su tutto il percorso a brucare l’erba verdissima. Ma dopo sette di ore di questa giostra siamo messi a dura prova. Il pulmino e’ scomodo, inoltre abbiamo i 12 bagagli stipati all’interno.
Sono le 17,45 ci fermiamo in un umile alberghetto, stasera zuppa di legumi e carne di zebù. Buon appetito e buona notte.

12 gennaio 2016 giorno 3 Ambohimasoa

Mamma mia, mettermi questa sera a scrivere le mie solite due righe mi mette in difficoltà. Non so proprio da che parte cominciare, tante sono state le cose i luoghi che ho visto e gli amici che ho ritrovato. Pronti?

Sveglia alle 5 colazione e partenza sul pulmino stra colmo di valige, ho insistito per spostare i bagagli a meta’ bus per avere la possibilità di allungare le gambe dopo il viaggio di ieri, ma non è stata una buona idea. Stamattina il cielo è terso dopo  il passaggio del temporale di ieri sera, e che temporale, che pero’ mi ha permesso di dormire al fresco. Inizia subito a serpeggiare la strada, sia a destra che a sinistra si vedono terrazzamenti di risaie che alternano fazzoletti di terra coltivati a mais. Passiamo piccoli villaggi che non sono sulla strada ma si intravedono sui rilievi con costruzioni in mattoni intonacati nell’ordine di 5/6  case mono familiari.

La scelta di sedere dietro non e’ stata vincente e me lo ricorda anche Luca il mio giovane pupillo che, oltre allo stomaco che protesta vivacemente per le buche improvvise,vedeva le curve e le brusche frenate per evitare altri mezzi che provengono dalla direzione come un film della serie Fast and Furios. Il nostro autista Haja che si legge aza, viene spesso fatto fermare per una foto, l’acquisto di frutta o semplicemente per fare quattro passi, e dato che non siamo galline, per pisciare, come scoprirò più tardi per via di un proverbio locale. Sono le 8 del mattino e arriviamo in vista della città di Ambohimasoa, l’ingresso del paese e’ molto pittoresco sulla strada stretta e sinuosa, le multicolori botteghe si alternano, tra un gommista un fabbro e i venditori di frutta e carne. La nostra prima tappa in questa luogo ha lo scopo preciso di partecipare alla inaugurazione di quattro aule della scuola elementare e media locale finanziate da UnicoSole. Non pensavo che noi fossimo gli ospiti d’onore e appena scesi dal pulmino, siamo stati assaliti da 1500 bocche sorridenti, da 3000 occhi pieni di curiosità e riconoscenza, il magone mi ha serrato la gola e inumidito gli occhi. Poi e’ arrivato da Tsarafidy padre Giangi e Mattia che ho rivisto con tanta gioia e da come mi hanno salutato la cosa e’ stata reciproca. Ha seguito poi la Santa Messa  animata da 1500 ragazzi che cantavano in modo da emozionare anche la sabbia dove si camminava. Verso le 13 siamo stati invitati in un ristorante del luogo il più bello del paese, per i canoni locali, per i nostri no, ma a noi sembrava di pranzare Da Vittorio. Ho assistito alle richieste delle autorità che avrebbero voluto avere un’ altra scuola, Elide il presidente di Unico gli ha spiegato che serve uno studio per capire  esattamente quello che serve per il progetto. Alla fine ci hanno portato a vedere un terreno secondo loro adatto alla costruzione della scuola. Il temporale improvviso ci ha fatto fuggire a gambe levate, dopo avere scoperto di avere una gomma a terra il nostro Haya si è fermato dal gommista per una gonfiata allo pneumatico. Abbiamo proseguito sulla National n. 7 che è la spina dorsale del paese la quale attraversa tutto il Madagascar per 900 km. Dopo altri 150 km siamo arrivati alla destinazione finale di  questo giorno,  Fianarantsoa , qui c’erano 52 ragazzi che ci  aspettavano,  dopo averli salutati uno per uno ho assistito ad un piccolo incidente. Una ragazzina di nome Flora, dall’apparente età di 10 anni e’ svenuta a terra, soccorsa dai presenti è stata portata semi  incosciente all’ospedale locale, uscita con una prognosi non ben definita è stata messa a letto dopo avere mangiato un pugno di riso. Sono le 20,30 si cena in una mensa semi buia ma piena di calore umano. I ragazzi  hanno preparato riso, pollo e le immancabili e deliziose verdure, che sono condite solo con spezie locali, buonissime. Dopo la cena Padre Giangi ha invitato prima noi 5 ospiti a presentarci, poi è toccato ad ogni singolo ragazzo/a dei 52 i quali hanno chi in Malgascio chi in Francese e qualcuno in Inglese raccontato da dove vengono, età e scuola frequentata. Di seguito ognuno di noi ha eseguito chi una poesia, una canzone o solo due parole per animare la serata. Ci siamo dati la buona notte e senza poterci lavare per mancanza di acqua ci siamo messi in branda, e abbiamo dormito lo stesso.
A domani.

13 gennaio 2016 Fianarantsoa giorno 4

Stamane la sveglia è alle 4,30, mi sono fatto carico di preparare la colazione. Latte, caffè , te e marmellata di ananas. Ho tribolato non poco ad  apparecchiare,  semi buio e non conoscendo la dislocazione delle poche  stoviglie e tutti i problemi legati al fatto che non ti muovi bene in un ambiente che non conosci. Comunque è andato tutto per il meglio, i miei compagni sono sazi, caricato il pulmino, sono le 6, si riparte per l’inaugurazione di un’altra scuola. Sono rimasto piacevolmente colpito dall’attività svolta  dall’associazione Unico Sole, che spazia dalla costruzione di scuole, all’allevamento di galline, alla produzione di uova e altre mille attività. La spedizione odierna mi porta alla seconda inaugurazione di aule  scolastiche in una zona fantastica. Dopo avere percorso un tratto di strada dove passava un’antica foresta e percorso un centinaio di chilometri, il pulmino ci fa scendere e Padre Giangi ci indica una strada di campagna che porta ad un villaggio con una ventina di casupole di mattoni e fango. Ci accoglie il capo villaggio e una vetusta signora di bianco vestita, dopo i saluti rituali ci viene indicato il serraglio degli zebù scavato in una buca di 3 metri all’interno del villaggio. E’ stato fatto in questo modo per via dei razziatori di  bestiame che imperversano nella zona. Si presentano al villaggio di notte in una trentina di loschi individui e sollevando letteralmente i buoi li portano via per venderli nei mercati del nord. Finita la visita al recinto, il vecchio ci mostra una pietra sacra poggiata per terra che noi Vazha, (stranieri) non possiamo toccare, pena orribili sventure. Non contento di averci terrorizzato con la pietra sacra, ci ha mostrato una costruzione sempre in pietra molto  antica, dicendo che fosse la tomba comune del villaggio. Decorata con due dolmen cilindrici alti 3 metri e un corridoio di una decina di passi che mostrava il segno dell’ingresso al tumulo il quale si trovava sotto terra di altri 3 metri. Sotto poi si aprivano 4/5 stanze con le varie tombe di famiglia che con cadenza irregolare tumulavano i propri cari. Lasciato il villaggio ci incamminiamo sulla collina in direzione della scuola, arrivati sull’altipiano una marea di giovani e vecchi ci accolgono festanti. Alla sinistra il palco delle autorità con un vecchio impianto per il microfono e la pianola che accompagna i canti. Io e Luca ci stacchiamo dalla ressa e ci inerpichiamo su per la collina, superiamo un centinaio di metri di dislivello e scolliniamo. Troviamo contadini e boscaioli intenti nei propri lavori, resto affascinato da tre boscaioli che tagliato l’albero e fatto cadere terra dopo averlo squadrato  grezzamente ne fanno dei travetti, qualche foto e giù di nuovo per la Messa ormai iniziata da un pezzo. Vengo incaricato da Padre Giangi di rilevare l’altezza di dove siamo tramite il GPS del mio fido iPhone e quella di un bacino idrico che si vede dall’altra parte della valle, sempre con Luca,  apprendista pellegrino camminiamo per oltre mezz’ora passando per un piccolo ospedale dove fuori in attesa paziente una trentina  di persone  attendevano il proprio turno. Camminiamo lungo il tracciato del tubo di discesa a valle seguiti da una miriade di bambini che simulano un  inseguimento  al nemico (che saremmo  io e Luca) sino ad arrivare alla cisterna. Con sorpresa trovo sulla costruzione la foto di due persone una che ho avuto il piacere di conoscere era di Giuditta la moglie di Angelo morta ormai da più di trenta anni, ho provato un paio di volte a parlare  di Lei con Angelo ma il ricordo per la moglie scomparsa era talmente doloroso da fargli mancare la voce e bagnare gli occhi anche dopo tanti anni. Scendiamo spediti verso il villaggio, la strada e poi su alla scuola, pranzo a base di riso, pollo e verdure e dopo  avere salutato la marea di gente, la lasciamo festante a ballare  e cantare, ci incamminiamo a ritroso verso valle. Saliamo a bordo del pulmino e torniamo verso la casa famiglia, non prima di fermarci per salutare il sindaco della località che orgoglioso ci mostra i 7 chilometri di strada scavata nella terra sabbiosa tutta a mano da un centinaio di operai del luogo. Impressionante quanta terra abbiano  spostato con il solo ausilio di piccole vanghe. Arrivati di nuovo a Fianaransoa, perdiamo un paio di ore per tirare l’ora di cena. Alle ore 20 passate ci mettiamo in viaggio per Ihosy che dista 4 ore di strada. Buia, piena di buche, con molti posti di polizia. Ogni tanto ci si ferma perché non siamo galline e dobbiamo  pisciare, e mi perdo a guardare le stelle, pensavo che quelle del deserto Marocchino fossero le più belle ma mi sbagliavo. Da qui si vede la via lattea in tutto il suo splendore, una lunga scia che si piega alle estremità continuando a perdita d’occhio. Percorriamo nel buio assoluto un tratto di strada che mi pare non finire mai, tagliato solo dai deboli fari del nostro mezzo. Il pulmino viaggia a tavoletta e ogni tanto rallenta e sterza bruscamente per schivare una buca, questo esercizio tiene tutti svegli e in tensione. Dopo non so quanti chilometri, è mezzanotte e entriamo nel cancello che chiude il muro di cinta della casa di Ihosy, non scarico nulla mi butto sulla branda e ……….. Buonanotte

14 gennaio 2016 Ioshy giorno 5

Sveglia alle 5 e colazione, visita con Giangi ai pollai dell’associazione e subito dopo partenza per visitare le tre proprietà che distano dalla casa una ventina di km. La prima Marufivango che si trova in una pianura tra due catene montuose distanti tra loro una trentina di km. Una costruzione in mattoni con porte e finestre rivolte a ovest, un pozzo profondo quindici metri e trecentocinquanta ettari di terreno pianeggiante coltivato in piccolissima parte a riso, arachidi, papaia. I confini sono tracciati con l’aratro e sono state piantate 400.000 piantine di eucalipto. Lasciata la solita strada principale, la 7 mi sono fatto lasciare  all’inizio della pista che lunga 9 km serpeggia sino alla casa. Arrivato li ho vagato per un altra ora in cerca del pulmino dei miei compagni che nel frattempo aveva fatto il giro della proprietà e aveva seguito il lavoro del trattore. Qui la terra costa veramente poco e la mano d’opera di un uomo dei campi vale 2 euro al giorno, il Madagascar è tra i 10 paesi al mondo più poveri e per reddito pro capite è il terzultimo. Il secondo terreno visitato viene chiamato Sakalalima, è quello che mi e’ piaciuto di più in assoluto. Anche qui la casa in mattoni sul modello della precedente ma costruita ai piedi di una  collina in pietra alta circa 300 mt, dove alla base scorre una piccola quantità di acqua. Qui è iniziata la costruzione di risaie  alimentate da 3 bacini costruiti spostando semplicemente delle grandi quantità di terra in zolle e compattandole con i piedi. La terza proprietà è chiamata Ivandrika, qui oltre alla casa e’ costruito un magazzino per le  granaglie, questi due terreni sono i più accessibili perché vicini alla strada  principale. Il totale dei terreni occupa un’ area lunga 10 x 8 chilometri.
Rientrati dalla gita un pranzo veloce e si e’ iniziato a tirare cavi e montare
scatole per l’impianto elettrico della casa di Ihosy sino a sera inoltrata.
Buonanotte domani riprendono i lavori.

15 gennaio 2016 Ihosy giorno 6

Qui la sveglia e’ fissa alle 5,30, anche perché il sole comincia presto a martellare le teste, colazione e per oggi e’ previsto il montaggio di un piccolo impianto fotovoltaico sulla casa di Marufivango,  il primo terreno visitato, per intenderci quello con 9 km di pista. Alla partenza dalla base dovevano esserci anche i due lattonieri addetti alla costruzione e al montaggio dei canali di gronda, ma al momento di partire uno dei due si e’ dissolto. E così anche il  secondo non si e’ imbarcato con noi sul pulmino. Devo dire che il tempo  come lo intendiamo noi, qui ha un valore completamente diverso, è vero che ci si alza presto, ma si spende tanto tempo per la mancanza di organizzazione. Questo da parte di persone, i locali, che del tempo non tengono assolutamente conto, inoltre chi vive spesso in queste terre come padre Giangi diventa uno di loro anche per questo difettuccio.  Comunque per farla in barba ai tempi malgasci alle 16 quando ci siamo reimbarcati sul pulmino, l’impianto fotovoltaico era in funzione e il telefono  del responsabile poteva essere caricato con il nostro impianto oltre al trapano da 700 watt che funzionava egregiamente. Il lattoniere che nel frattempo un po’ a piedi e un po’ con un passaggio di un locale aveva raggiunto la casa aveva iniziato la preparazione delle lamiere ed io affascinato dalla loro manualità ho perdonata la loro scarsa puntualità. Rientrati al campo un po’ stanchi  un po’ contenti un po’ sognanti ci siamo messi in branda per un meritato riposo. La cena comune e le chiacchiere su quanto combinato in questa giornata hanno concluso degnamente la giornata. Memore della calura africana della notte prima, ho trascinato fuori la mia branda e con le mie fide cuffiette negli orecchi mi sono addormentato sotto un manto di stelle. Solo verso le 3 ho spento la musica e tirandomi il lenzuolo sulle spalle mi sono riaddormentato.
A domani pellegrino Malgascio

16 gennaio Ioshy giorno 7

Il risveglio e’ stato dettato dal sole che come ogni mattino picchia duro, anche presto, Lidia la nostra cuoca locale mi ha dato il buongiorno ridendo vedendomi seminudo attorcigliato nel verde lenzuolo all’esterno della camera. Lidia che come molte altre giovani donne della casa aspetta un bambino e seppure in gravidanza avanzata alle 4,30 è in piedi a preparare il pan per tutti, insieme a Roland suo marito è il custode per tutto l’anno della casa del frutteto e del pollaio. Ieri Il nostro autista è tornato alla casa famiglia di Fianarantsoa a prendere Elide e Sonia che si erano fermate in città per altre questioni legate alla associazione. La giornata e’ iniziata come al solito all’alba con la lavorazione qui alla casa dell’impianto elettrico, mi rendo
conto che qui le cose da fare sono molte e quello che manca oltre ai materiali
e’ il tempo, cosi’ tutti si danno da fare per ottimizzarlo cercando di contrastare l’indole indigena. Arrivano così le 13 e si pranza, non manca nulla sulla nostra tavola nemmeno la preghiera per ringraziare di tutto quello che riceviamo e riusciamo a donare. Un pisolino veloce non me lo faccio mancare e si riprende a produrre sino al tramonto. Il mio figlioccio Luca che credeva di farsi una vacanza indimenticabile è un po’ deluso, ma l’armonia che si è venuta a creare tra di noi ha fatto si che ogni giorno che passa sia appagante e pieno. Solo quando andrà a casa e ripenserà con nostalgia ai giorni passati nella terra rossa riuscirà a metabolizzare l’importanza di questo tempo speso a disposizione di chi ha poco più di niente. Anche stasera non e’ molto tardi ma la stanchezza si fa sentire, una stanchezza sana, pura come la voglia di fare qualcosa solo per il gusto di farlo .
Pecat a Mor buonanotte

17 gennaio 2016 Ihosy giorno 8

Oggi grande festa, Rene un malgascio primo tra i lavoranti della missione, diventato imprenditore avicolo grazie al lavoro piantato in questa terra dalla caparbia volontà di padre Giangi , ha inaugurato una nuova attività. Un  allevamento di galline ovaiole, che danno da lavorare a parecchia  gente locale. Alle 8 l’ora fissata per l’uccisione del bue, cibo per oltre 300 invitati, le donne gli uomini sono stati divisi in due ali di folla. Rene insieme a tre anziani ha iniziato salmodiando una cantilena di ringraziamenti alla terra e agli avi e dopo 2 ore di rito si è proceduto all’uccisione  dello zebù. E’ stata celebrata la Messa lunga e cerimoniosa e alla fine si e’ mangiato riso, verdure e carne di zebù bollita che non mi ha entusiasmato. Verso le 15 siamo rientrati a verso la casa ma prima siamo passati alle carceri della città.
Qui abbiamo trovato una situazione assurda di degrado e abbandono della persona, mi è stato chiesto da Giangi se volevo collaborare per dare qualcosa da mangiare a questa gente. L’associazione Unico Sole di Seriate, da anni provvede oltre ad altre iniziative alla sostituzione delle pentole in alluminio da 150 lt che i carcerati utilizzano per fare bollire la manioca e che si consumano vistosamente, il costo di due pentole  sfiora i 500 Euro. Per dare
da mangiare anche solo per un paio di giorni a oltre 260 poveri affamati  servono quintali di cibo e il cibo costa, così mi e’ venuta l’idea di chiedere aiuto agli amici di Facebook .  Ho lanciato l’appello e sono curioso di vedere quanti amici mi daranno una mano. Rientrato dalle carceri con la promessa fatta di dare una mano a questi disgraziati  la sera a cena si è stesa una lista della spesa. Due caciope di riso e una di fagioli. La caciopa è la misura con cui si misurano le piccole quantità siano esse di riso, sale, fagioli o  zucchero.
Servivano inoltre 260 pezzi di sapone per lavarsi, 15 secchi, due per camerata  da usare come latrina e 15 taniche adatte a contenterà acqua, del disinfettante per sterminare le zecche presenti a migliaia e della calcina con del sale per  poterla sciogliere così da essere usata come tempera sui muri. Stilata la lista  della spesa e cenato sono le 21,30, trascino fuori la mia branda, la posiziono  sotto le stelle e mi stendo a dormire cercando inutilmente di contarle.
Buonanotte Bacelix domani altra giornata.

18 gennaio 2016 Ihosy giorno 9

Oggi è lunedì Io, Luca e Angelo proseguiamo con i lavori di  installazione delle linee elettriche per la casa dove abitiamo, mancano le prese, gli interruttori, un paio di luci esterne. Mentre si lavora continuano ad uscire nuove mansioni.  Giangi si rivela un imprenditore consumato che sa  bene come trattare con i locali e con noi volontari, riesce sempre ad ottenere quello che vuole tirando il collo un po’ a tutti, ma sempre con un sorriso. Questi tre simpatici giovanotti non siamo io Luca e Angelo ma i tre muratori (specializzati) che ci hanno accompagnato attraverso alcune lavorazioni. Io li ho ribattezzati in funzione della loro indole e precisione. Il primo a sinistra, Mario Casela in quanto preciso e metodico come l’amico di Luzzana Mario. Il secondo, Fabiano che come Fabiano di Grone, sempre ciarliero e scherzoso non faceva mai mancare una battuta o uno scherzo a chi gli stava accanto. Il terzo l’ho ribattezzato Riccardo, come il rimpianto amico che langue in un letto di ospedale, secco più degli altri, simpatico e grande lavoratore. E a questi il sorriso non manca di certo, specie se mi vedevano a salire su una scala malferma o su una sedia, mimando le gambe che si schiantavano e ridendo a crepapelle. 

19 gennaio 2016 Ihosy giorno 10.

 Al mattino con Angelo e Luca lavoriamo agli impianti elettrici della casa. Nel pomeriggio Mattia ha organizzato un incontro al liceo dove insegna la lingua Inglese.
Passando nel parco della scuola si vedevano  piante bellissime di diverse specie e qualche  lemure. Ma la cosa che più mi ha fatto sorridere era passare fuori dalle classi e vedere tutti i ragazzi affacciarsi alle finestre salutando e ridendo. Siamo entrati poi in tre aule dove Mattia ha mostrato i progressi dei suoi allievi che rispondevano alle nostre domande in Italiano e Inglese. Ogni classe si è poi esibita chi in ballo chi in un canto. Io non ho potuto tirarmi indietro e ho estratto dal mio  repertorio qualche chiassoso pezzo che ha fatto strabuzzare gli occhi ai presenti non abituati alla lirica. Rientrato verso le 17 ho dato forfait  e mi sono steso nella calura pomeridiana. Ci sono volute due docce per abbassare la  temperatura corporea.

Alla fine Angelo ha cominciato con: ma se mettessimo 2 tasselli a quel cavo e se cambiassimo quella presa intanto che viene ora di cena?  Alla fine mi sono alzato dalla branda e ho ricominciato a bucare e avvitare sino quasi all’ora di cena. A un certo punto ho mandato a farsi benedire il mio superiore e mi sono infilato sotto la doccia, dopodiché fresco e riposato mi sono messo a scrivere le due righe giornaliere, negli ultimi giorni sono proprio solo due righe. Non penso sia tanto affascinante  raccontare di quanti metri di cavo siano stati posati o quanti tasselli si siano infilati nel muro……..

20 gennaio 2016 Ihosy giorno 11

Mercoledì, oggi giornata pienamente  lavorativa, dobbiamo finire gli impianti del Piccolo Ihorombe  dove abbiamo installato l’impianto fotovoltaico, resta poco da fare, tirare una cavo d’acciaio, fissare le lampade sulle perline da poco posate e sigillare i fori nel muro. Lascio a malincuore questo luogo tanto bello selvaggio e tanto fuori dalla civiltà che ti fa sentire  davvero libero. Seppure senza tante  comodità, a dire la verità ben poche, in questo posto ci starei 2/3 giorni da solo spaziando in questa immensa pianura soleggiata sino alle montagne da nord a sud e usandolo come  campo base per delle gite solitarie. Domani è programmata la visita al parco di Isalo e venerdì il pulmino porterà, dopo un viaggio di tre giorni, Sonia, Luca ed Elide ad Antananarivo dove il 25 un volo per Parigi e poi Milano li riporterà a casa. Noi nel frattempo saremo appiedati e ci dedicheremo ai lavori  all’interno della missione. Io, Angelo e Luca ci diamo dentro anche se la  partenza programmata per le 7 dalla casa è slittata alle 9,30 per tutta una  serie di problemi. Qui è così non si può mai sapere cosa può succedere.
Arrivati a destinazione e coinvolti anche i bambini che vivono nel piccolo Ihorombe, corrotti con delle caramelle (bon bon) si sono dimostrati molto disponibili a darmi una mano per tirare un cavo o per radunare le attrezzature e infine per la pulizia, minuziosa di tutti i cavetti e plastichine avanzate.

Alle 16 siamo sulla strada del ritorno, devo distribuire la prima  trance di libagioni ai carcerati. Appena arrivato alle carceri mi viene incontro un prigioniero con una ferita di arma da fuoco alla gamba,  quasi piangente mi prega di dagli un’occhiata. Io porto sempre  con me la cassetta del pronto soccorso lo faccio sedere e gli disinfetto il meglio possibile la ferita e la copro con della garza sterile. Pulendola mi sono uscite delle uova biancastre, penso che fossero di qualche strana mosca. Visto poi le condizioni in cui si  trovavano non c’era da stupirsi, brrr…..Nel frattempo sono stati disposti i sacchi di riso e di fagioli per la distribuzione. I prigionieri in fila ordinata per 2 e per 4 attendono  pazientemente il proprio turno non nascondendo con gli occhi una certa fretta di ritirare quello che per loro è un vero e proprio ben di Dio. In questa prigione ci sono adulti, minorenni, e donne che vengono rinchiusi per la notte in camerate separate, questo cucciolo a destra nella foto è il figlio di una detenuta, carcerato pure lui suo malgrado. Per ringraziaci di  quanto offerto,   i carcerati hanno intonato un canto a due voci molto bello e melodico. 

Giangi  mi ha poi invitato a restituire la cortesia facendomi esibire con un canto a mia scelta. I reclusi hanno apprezzato tanto le mie doti canore da chiedere un bis. Non perché io sia così bravo, ma giusto perché loro possano stare fuori dalle celle ancora qualche minuto. Me ne sono andato da quel posto, contento di avere contribuito anche se solo per un brevissimo periodo alla loro precaria situazione. E’ vero che se sono li dentro qualcosa di brutto lo abbiano  combinato, ma bisogna anche capire il contesto, qui la gente vive con una manciata di riso e i frutti che ti offre  la natura. La natura di un uomo lo porta anche a desiderare qualcosa in più, e basta rubare una gallina per essere un criminale e finire in galera.

21 gennaio 2016 Parco di Isalo giorno 12

Dopo l’arrivo a Ihosy oggi è il primo giorno di svago, si va al parco di Isalo. 80.000 ettari di foreste, canyon, cascate e vista mozzafiato. Partiti dalla città verso le 7 con il nostro scomodo pulmino ci dirigiamo verso sud ovest salendo l’altipiano chiamato Grande Ihorombe. Dopo una ventina di tornanti dolci ma pieni di buche arriviamo alla sommità  del monte. Da qui in poi una lunga strada diritta taglia l’altipiano in due, la percorriamo senza scorgerne la fine. Vedo delle costruzioni diroccate e mi viene detto che erano state allestite per potere osservare meglio l’eclissi totale del 2003, tentativo di installazione turistica stabile. Avrebbero potuto ad oggi farne un uso migliore  e non lasciare andare in malora tutto quanto. Proseguiamo il nostro viaggio e alla mia destra scorgo una moderna fattoria con un silos che svetta all’orizzonte.
E’ l’investimento di una multinazionale  la Tozzi Green che qui ha speso un po’ dei suoi utili. Mi viene indicata più avanti un’altra costruzione, anzi due, dalla forma ormai familiare intuisco siano delle scuole, infatti Elide mi dice che anche queste costruzioni sono state donate da un ente no profit.
Dopo oltre un ora di strada arriviamo all’esterno del parco dove una decina di guide, ognuna che parla una lingua straniera diversa circondandoci si  informano sulla nostra provenienza. Scelta la nostra guida scopriamo con stupore  un nome non proprio malgascio, Dollaro,  lasciatogli dal nonno che  un paio di generazioni prima era andato a avorare in America. Tornato ha  battezzato i propri figli con nomi di Monete Americane.
Dollaro si è rivelato una guida esperta e mentre camminava ci illustrava le
peculiarità del parco, facendoci notare  particolari che a noi sarebbero sicuramente  sfuggiti. Animali perfettamente mimetizzati nel verde, uccelli tanto piccoli da passare  inosservati e piante a noi sconosciute come il Bao Bab nano. Su questa stele di pietra è scolpito il perimetro del parco  con all’interno indicazioni sui percorsi sia lunghi che ridotti e aree dove passare la notte. L’escursione iniziata in campo aperto e con un caldo soffocante è continuata poi facendoci immergere in una foresta fresca e vociante di uccelli e cicale. Un continuo saliscendi su rocce sapientemente scolpite a gradoni, si alternava da un corso d’acqua a un laghetto, una ripida salita o una repentina  discesa. in uno di questi su e giù ci siamo trovati di fronte ad un laghetto con  cascata. E’ bastato uno sguardo, io e Luca ci siamo buttati senza pensarci due volte. L’acqua fresca ma non troppo ci ha rigenerato, mi sono poi arrampicato sulla  cascata dove ho fatto una gigantesca doccia con l’acqua che mi precipitava sulla testa, tanto da essere dolorosa. Tornati sui nostri passi per qualche centinaio di metri ci siamo divisi, Elide, Angelo e Sonia,  hanno proseguito per il sentiero pianeggiante che portava ad altri due laghetti.
Dollaro, ha condotto me e Luca sulla sommità del canyon lungo un sentiero impervio e con una vista mozzafiato. Il sentiero, scavato nella morbida roccia dopo una salita piuttosto impegnativa a un certo punto gira a destra di 90  gradi e si spiana diventando un terrazzo lungo e stretto. Da qui si gode la vista di uno scorcio di valle che scende in una foresta lungo il corso del torrente, che poi alimenta il lago e la cascata dove poco ero poco prima. Seguendo lo stesso sentiero, imbocchiamo una valle laterale che ci invita a salire ancora, sino al punto più alto del canyon. E’ qui che troviamo una concentrazione di Bao Bab nani, di diverse forme, con pochi o con tanti rami, tutti caratterizzati da una base panciuta che sembra appoggiata alla roccia.

Dopo avere scrutato l’orizzonte, una nuvola con un gancio appesa al cielo e avere ascoltato il frinire assordante delle cicale, scendiamo un sentiero che ci accompagna in un’altra valle molto profonda. Sento da lontano la voce di Angelo accompagnata da un eco scrosciante. Anche qui cascate e laghetti sono avvolti dalle pareti che accolgono un torrente.
Troviamo il resto del gruppo accampato in semi ombra che ci  attende per il breakfast, non prima di un tuffo e una nuotata nel laghetto nero e già che ci siamo anche in quello blu. Questi sono i nomi  attribuiti alle due pozze d’acqua  limpida. E così dopo un ora di relax e con la pancia piena ci  incamminiamo  giù per il corso del torrente in un percorso di  sassi giganti e sentieri scavati nella roccia, sino ad arrivare al campo base, dove il nostro pulmino ci raccoglie e usciti dai confini del parco torniamo verso Ihosy. Devo assistere su raccomandazione di Elide alla distribuzione della seconda trance di riso e fagioli ai carcerati. Elide, esperta perché ormai da anni viene a trovare questi disgraziati mi ha dato ottimi consigli che si sono rivelati basilari nelle visite svolte alle carceri. Con la seconda distribuzione alle donne, ai minorenni e a due malati di tubercolosi, sono state aggiunte delle porzioni di riso e fagioli per i prossimi giorni. Qui l’obesità non è presente. Alla fine viste le generose offerte, arrivate a circa 400 Euro, sono riuscito a raddoppiare le porzioni di cibo, ecco perché si è passati una seconda volta a distribuire, e fare un’altro piccolo giro. Grazie ancora a chi ci ha dato una mano. Domani si inizia a dare la calcina sulle pareti rattoppate i buchi con terra e sterco di zebu, finalmente  si toglieranno i segni delle zecche schiacciate sui muri. Mi piace immaginare questo posto come un esposizione di camion giocattolo  multicolore (i carcerati) che attendono pazientemente che qualcuno li faccia uscire dal loro espositore (il carcere) per percorrere liberi e lavorando la propria strada.
Buon cammino amici delle carceri di Ihosy, buon cammino di cuore.

22 gennaio 2016 Ioshy giorno 13

Non si fa in tempo a finire un lavoro che il Giangi te ne procura subito un altro. Quando sono arrivato il primo giorno, dei muratori locali stavano  segnando il terreno con dei sassi spaccati di granito. Erano le fondamenta  di 3 gabinetti e un lavandino gettato sul posto. Ora che sono conclusi gli impianti elettrici , mi appresto a preparare l’impianto idraulico di questi nuovi servizi igienici per gli operai che lavorano qui . E’ sorprendente vedere quanto poco tempo ci mettano i locali a costruire una struttura, utilizzando pietra locale, mattoni cotti e cemento. Non esistono betoniere o strumenti di misura sofisticati. Si  costruisce come ai tempi di Michelangelo, usando l’abilita manuale e la forza delle braccia. Non serve la corrente, si inizia a lavorare quando c’è luce e si finisce quando la luce se ne va’, un po’ com’era da noi nelle campagne un secolo fa’. Sono aiutati dal fatto che qui la terra è una sabbia rossa e compatta, non usano picconi o grandi badili, lavorano con delle vanghette con un lungo manico e invece di calcare con il piede la vanga nella terra , la spingono a forza di braccia riuscendo a spostare quantità di terra incredibile. Mentre alcuni operai costruivano  i bagni altri erano occupati a scavare delle buche  perfettamente quadrate da usare come fosse biologiche , tutte sotto l’occhio attento  di Giangi che dava indicazioni chiare e precise al responsabile. Basilare è  spiegare in modo corretto quanto si vuole eseguire, una volta capito il lavoro gli operai lo eseguono fedelmente. Dopo avere segnato le tracce da eseguire per alloggiare le tubazioni me le hanno scolpite in maniera quasi maniacale.
Giangi mi ha chiamato per una modifica ad un interruttore che non funziona e già che ci siamo me ne fa installare un altro con una nuova luce. Poi carica la sua moto, una Honda 125 di bassa qualità per i nostri standard e parte con cesti vanghette e altre attrezzature manuali da portare nei vari terreni, dove decine di operai sono a scavare, dissodare, seminare e raccogliere ogni tipo pensabile di frutta e verdura che qui cresce dove e’ possibile irrigare. Sta venendo  buio anche stasera, preparo la nota dei materiali da acquistare, domattina mentre Angelo si farà tirare matto dalle continue richieste di Giangi, io andrò a comperare i materiali che mi servono. Sono le 19,30 e Lidia la nostra cuoca Malgascia ci chiama per la cena. Buon appetito Bacelix , devo dire che non  manca, sto prendendo ancora peso, ho bisogno di camminare ma non in questo clima. A domani.

23 gennaio 2016 Ioshy giorno 14

Notte stupenda, ieri sera mi sono addormentato fuori come al solito cercando la mia stella e non trovandola. Sveglia alle 5, devo fare mille cose, per prima dopo colazione aiutare Angelo a finire le luci esterne della casa dei pulcini, alle 8 parto con Jean Paul in direzione mercato per comperare il materiale occorrente per i bagni. Le foto riportano l’evoluzione dei servizi igienici del luogo, ho omesso di evidenziare il primo stadio che altro non erano che una serie buche piene di m…… 

Mi ero ripromesso di non fare altri lavori e di andarmene un po in giro a camminare,  ma mi rendo conto che quello che non riuscirei a fare ora verrebbe ripreso tra chissà quanto e allora finiamo quanto iniziato anche se il caldo, la polvere e le zanzare non sono mie alleate. Passeggiare per le vie polverose della cittadina di Ihosy è come camminare in un documentario National Geographic Odori, sapori, colori ,risate della gente che vede un omone  bianco che si aggira per i banchetti se poi infili le cuffiette nelle orecchie  e ascolti la musica che più ti piace, be’ allora è come volare. Arrivato al magazzino, saluto monsieur le patron e con il mio francese inventato inizio la mia  sfilza di richieste di materiali divertendo i presenti e me stesso, ci vogliono quasi due ore per uscire vincitore dal bazar. Non resta che portare tutti i materiali alla maison, no problèm. Fermiamo un Tuk Tuk che altro non e’ che un Ape a tre ruote che trasporta  umani, animali e materiali. Infilo le verghe di tubo da 5 mt  all’interno legandole alla maniera  Malgascia (come si riesce) e l’Ape parte strombazzando per le viuzze ingombrate di persone e di ogni genere di materiale. Rientrato, l’impresa  mi ha già preparato scavi e tracce nei muri, inizio subito la posa facendo chiudere scavi e tracce appena posato i tubi. Ho assunto come mio aiutante e traduttore Mike, un  ventinovenne avido di sapere e conoscenza che e’ anche l’unico che parla un po’ di inglese e traduce le mie istruzione agli operai al seguito. Risultato, stasera tutto posato e murato, pavimenti lisciati e lunedì non resta che posare i sanitari.
Niente piastrelle, un verde acido sulle pareti, solo l’essenziale per usare  decentemente i bagni. Dovreste vedere cosa hanno usato fino ad oggi brrrrr.  Lidia mi chiama dalla cucina sono quasi le venti, stasera uova fritte verdure di tutti i tipi patatine fritte e birrazza. Buon appetito bacelix a domani.

24 gennaio 2016 Ioshy giorno 15

Domenica giorno di riposo ma non troppo, stamattina sveglia alle 6,  colazione poi ho dormicchiato e scritto sino alle 9. Alle 9,30 c’è stata la messa presso la chiesa della parrocchia di Ihosy, sono partito a piedi dalla casa seguito da un codazzo di bambini che aumentavano  man mano che si percorreva il sentiero che ci ha portato in un grande spiazzo. Qui i bambini si  sono moltiplicati a dismisura, tutti volevano vedere e toccare buda buda ( l’uomo grosso). Entrato in chiesa due bimbette mi si sono attaccate e non mi hanno più mollato. Mattia mi aveva avvisato delle oltre due ore di funzione sapendo che non sono proprio un fervente frequentatore di messe, ma devo dire che il tempo è volato, grazie ai canti intonati e alla partecipazione totale dei fedeli. Dopo la funzione io e Mattia abbiamo attraversato alcune viuzze del paese entrando in una casa di etnia Bara invitati da due belle ragazze che si stavano pettinando, due foto e abbiamo  proseguito il giro. Preso un Tuk Tuk ci siamo recati in farmacia per prendere altre medicazioni per i carcerati. Tornati per il pranzo, arriviamo insieme a

Giangi e Angelo che aveva celebrato messa alle 7 in un altro luogo, ma naturalmente prima di rientrare è passato a vedere se trovava qualcosa da farci fare, e lo ha trovato. Sotto la diga delle risaie i rubinetti che controllano il livello dell’acqua perdevano, così dopo pranzo due volontari a caso, io e Angelo ci siamo fatti in giro in moto. Piacevolissimo, la diga si trova a una trentina di km a nord, poi ci siamo persi e così la gita si è allungata, arrivati in vista della diga su uno sterrato tortuoso, dopo una curva mi sono trovato una lunga biscia sulla carreggiata. L’ho investita involontariamente ma non mi sono fermato per prestarle soccorso. Sistemate le perdite ci siamo accorti che non arrivava più acqua, si erano svuotati i tubi durante la riparazione e a causa del basso livello dell’acqua non si riuscivano a riempire.  Allora motopompa a 500 mt di distanza tubazioni e casini vari ma nel frattempo si e’fatto buio rientriamo a casa ci pensiamo domattina. Senza casco semi buio quasi una pattuglia ci ferma , tiro diritto non vorrei andare a trovare i miei amici carcerati come compagno di cella. Durante la cena io e Angelo raccontiamo al resto dello sparuto gruppo le avventure del giorno appena passato, io sogno la mia branda sotto le stelle e dopo pochi minuti il sogno si avvera. Buonanotte bacelix centauro.

25 gennaio 2016 Ihosy giorno 16

Oggi il caldo mi ha sfiancato, Giangi e Angelo sono andati a sistemare la diga, io ho finito gli impianti idraulici dei nuovi bagni non completamente,  mancavano le doccette che arriveranno domani da Fianarantsoa. Ho aiutato
Angelo a sistemare i mulini e container quando e’ rientrato vincitore con la
battaglia della motopompa. Verso le 5 ho dato forfait ero veramente stanco.
Mi sono steso e mi sono addormentato come una sasso. Adesso è ora di cena,
Lidia ci ha preparato della pasta turca, penso di non avere problemi neanche
stasera ad addormentarmi. Una stanca buonanotte, Bacelix

26 gennaio 2016 Ihosy giorno 17

Se ieri ha fatto caldo, oggi lo ha fatto ancora di più, stamattina io e Angelo in moto siamo andati al terreno di Marufivango per finire alcune cosette e fare qualche foto al recinto dei e buoi. Verso le 10,30 siamo rientrati rifacendo lo sterrato di 10 km e poi la strada sino a Ioshy. Lasciato Angelo ai lavoretti della casa sono andato alle carceri per salutare e fare la medicazione alla gamba del mio solito paziente. Alla fine l’ho fatto uscire per la medicazione e non ho salutato nessuno. Non me la sentivo, avrei dovuto fare tante altre cose ma il tempo e’ stato speso tutto. Arrivato alla casa Angelo mi dice che dobbiamo andare di corsa alle risaie di Ivanzica, la motopompa  non funziona. Mangiamo un boccone  veloce e partiamo in moto percorrendo i quasi 25 km che ci dividono dal sito. Arrivato sotto la diga dove si è posizionata la macchina, scopriamo che gli operai non hanno montato la guarnizione sulla aspirazione e dopo una strigliata uno veloce parti di corsa in mezzo alle risaie verso la casa per recuperare il pezzo. Dopo un paio di ore sotto un sole cocente e dopo avere spostato la tubazione che riempiva la risaia ci siamo recati dove una decina di operai stavano raccogliendo il peperoncino. raccogliere il peperoncino non sembrerebbe un lavoro faticoso, invece si. Primo le piantine sono molto basse pertanto ci si deve chinare a 90 gradi sotto il sole dalla mattina alle 6 sino alla sera al tramonto, il tutto per raccogliere forse un chilo di prodotto a testa che verrà venduto al commerciante per una cifra irrisoria. La donna che si vede nella foto, china a raccogliere è la moglie di uno dei muratori che hanno costruito i bagni degli operai alla missione. Forse non si nota ma è all’ottavo mese di gravidanza e come tutti gli altri, dall’alba al tramonto e per diversi giorni ha raccolto instancabilmente peperoncino. Porta i guanti di lattice perché il peperoncino è talmente piccante e toccandolo praticamente tutto il giorno irriterebbe le dita in maniera molto fastidiosa. Ne sanno qualcosa Elide e Sonia che per un giorno hanno provato l’ebrezza della raccolta. Bello tosto anche l’ultimo giorno di permanenza, adesso rientriamo, ci sono le valige da preparare, il container da chiudere e domattina si parte per la capitale.

27 gennaio 2016 Ioshy giorno 17

Sveglia alle 5,30 ma la sensazione e’ che non si parta con il fresco. La solita colazione e un minimo di programma mi fanno percepire che il via sarà almeno per le 9/10/11. Giangi e’ lungo e poi ancora lungo di suo, oggi che deve rientrare dopo quasi tre mesi di permanenza nella sua seconda patria gli verranno in mente 1000 cose da fare nel giro di pochi minuti. Ieri sera è rientrato dopo le 20 che qui equivale a notte fonda. Stamattina abbastanza agguerrito si è messo a sistemare le cose nell’armadio arrivato ieri da Fianarantsoa. Ho dovuto cambiare una doccetta difettosa nei cessi montati nei giorni scorsi e sostituire con un faretto una lampadina poco potente che illumina il portone principale. Poi e’ toccato al riempimento delle valige con oggetti e ricordi locali da ridistribuire poi in Italia. Alla fine verso le 10 dopo un’ultimo saluto da parte

degli ultimi ragazzini rimasti ci siamo messi in moto, con due carriole saldate sul portapacchi del pulmino dal fabbro locale da lasciare in un terreno dove gli operai stanno movimentando della terra rossa per la costruzione di sbarramenti ad uso risaie. Dopo una mezz’ora di saluti in malgascio a tutti i presenti siamo ripartiti, dimenticavo di dire che il nostro autista mentre cambiavo il faretto e’ andato a prendere della legna.
Solo dopo un ora e mezzo di viaggio ho capito il perché. Fermato il furgone in mezzo ad un rettilineo, salta fuori un ragazzotto che abbraccia Giangi e il resto del gruppo, trattasi di un membro della casa famiglia di qualche anno prima che si e’ laureato in odontoiatria e che e’ in attesa di essere assunto da un dentista di una città vicina, pertanto un uomo che cammina con le sue gambe e che appaga sicuramente chi l’ha aiutato in questo percorso. Bene, la legna era per suo padre, dopo i rituali saluti, si riparte in direzione Nord ma dopo una ventina di chilometri siamo nella zona degli ananas, come non fermarsi per gustarne la dolcezza neanche lontanamente paragonabile ai frutti che arrivano a casa nostra e che maturano nei container. Siamo in vista della casa famiglia di Fianarantsoa, dove ci attende un ora di lavoro per montare un altro armadio, qui la cosa si dilunga, i ragazzi da salutare sono tanti, ma è piacevole e divertente. Si riparte e dopo qualche chilometro un nuovo stop. Dove avevamo inaugurato la seconda scuola ci attendeva il sindaco che ci ha messo al corrente del furto di 13 buoi in un villaggio vicino e purtroppo anche dell’uccisione di due fratelli che ne erano a guardia. Più avanti abbiamo incontrato la maestra di una scuola primaria che ha consegnato a Giangi la richiesta di aiuti finanziari per la costruzione di 4 aule  per 206 bambini. E’ sera inoltrata, arriviamo ad Ambositra nell’albergo dove ci eravamo fermati  all’andata. Siamo gli unici ospiti, l’illuminazione del  luogo è appena sufficiente per identificare le sagome dei compagni. Ceniamo in silenzio, siamo tutti molto stanchi, a due a due ce ne andiamo a dormire. Il mio compagno di stanza è Mattia, poche battute e ci si addormenta.

28 gennaio 2016 Ambositra giorno 18

Il mattino si riparte a piedi, mentre Giangi regola i conti e saluta i locali,  io, Angelo e Mattia andiamo a fare visita al locale mercato artigianale, dove si acquistano oggetti per i regali da portare a casa. Io piuttosto  caustico ai regali non compro nulla, poi mi si avvicina una ragazza e come se mi volesse vendere droga mi mostra delle sciarpine in seta grezza, ne ho comperate 6 senza mercanteggiare troppo. Arrivato Giangi e spesa un’altra mezz’ora per borse strumenti e oggettistica varia, si parte, la strada continua tortuosa,  salite e discese si alternano e si alternano tratti asfaltati ad altri completamente sconnessi. Dove si deve rallentare sino a fermarsi dei bambini chiedono qualcosa per il servizio svolto. Il loro lavoro è quello di riempire le buche con della terra e per questo chiedono giustamente un compenso. Sulla strada troviamo molti camion  che trasportano zebù da sud a nord verso la capitale dove verranno venduti nei mercati locali. Non manca di vedere cose bizzarre come zampe o corna che escono dalle sponde dei vecchi camion. Guardando attraverso il cassone si intravede una foresta di corna legate alla centina del mezzo. Giangi ci avvisa che siamo nei pressi di un luogo dove è  avvenuto un tragico incidente nel 2001. Un suo caro amico e collega missionario Padre Elli Luigi si è qui schiantato con la sua auto contro
uno di questi camion che proveniva in direzione opposta morendo subito dopo. Rammenta con occhi lucidi di avere celebrato lui stesso il funerale  molti giorni dopo il decesso per attendere il fratello che dall’Italia non trovava biglietto aereo.

Il viaggio prosegue verso Antananarivo la nostra meta finale non prima di  passare accanto a immense risaie poste sia nelle pianure che sulle dolci pendici collinari. E’ evidente che qui di acqua ce né in abbondanza tanto da fare abitualmente due raccolti l’anno. Entriamo quasi senza accorgerci nella periferia della  capitale, inizia il traffico quello caotico  e strombazzante delle grandi città africane, ma noi deviamo  verso la diga, costruita per tenere a bada le forti piene che si verificano nella stagione delle  piogge, divide il fiume dalla città. Un grande bacino lacustre tappezzato da fiori di Loto dilaga sino a lambire la città alta che si vede sullo sfondo.
Siamo diretti alla sede della DHL nei  pressi dell’aeroporto, mentre Giangi e René sono alle prese con un funzionario per delle pratiche relative a dei terreni, noi siamo addetti allo sdoganamento della frizione del trattore arrivata dall’Italia. Non è una cosa semplice, le tasse di sdoganamento costano più del pezzo di ricambio. Questa cosa manda in bestia il povero Angelo che da in escandescenza. Ma purtroppo si deve pagare il dovuto, per coprire che ci vorranno altri cinque giorni per avere il ricambio a Ihosy. Be qui è così e non ci si può fare nulla se non adeguarsi.  Dopo due ore di DHL arriviamo all’albergo, dove passeremo alcune ore in attesa della cena e di essere accompagnati alla partenza partenza. Durante la cena un duo di chitarre ci allieta con alcuni brani classici. Sono le 21 ci portano in aeroporto, imbarchiamo le valige stracariche di regali, frutta sotto grappa, e i minerali che Angelo si è portato appresso. Veniamo chiamati tutti e quattro all’altoparlante per il controllo dei bagagli, troppa roba e troppo pesante.  Alla fine il Giangi con i suoi modi malgasci fa si che il carico venga richiuso e imbarcato. Saliamo in aereo destinazione Parigi e poi Milano, anche questo viaggio è quasi terminato, ci aspetta un fresco rientro, speriamo non troppo.

Stavolta il viaggio non ha portato il Bacelix camminatore ma il turista  lavorante e come sempre curioso di vedere nuove terre e nuove genti e come in ogni viaggio mi ha soddisfatto.  Forse perché quell’antico detto che dice che non importa la meta, ma il viaggio e tutto quello che provi durante è il vero scopo. A proposito a Reunion Island non ci sono più stato, ci andrò in seguito quando le cose matureranno, sperem.
Buon rientro Bacelix, alla prossima

Immagini collegate:

Relazione di viaggio di Mattia, dicembre 2015- gennaio 2016

Come sapete. Padre Giangi è in Madagascar con Mattia, giovane neolaureato in diritto internazionale, che ci ha riportato le impressioni del suo primo viaggio. CIMG0970.JPG - 123.36 kb

Fianarantsoa, 18/11/2015 08:25 (orario locale) 

Cari amici,

vi scrivo da un luogo speciale, un luogo che voi tutti conoscete e che un po’ ci appartiene: la casa famiglia qui a Fianarantsoa. 

Io e Giangi siamo approdati sull’ “isola rossa” da ormai cinque giorni e pare conveniente “tirare le fila” di quelle che sono le prime impressioni, visto che son già numerose. I ragazzi della casa son tutti a scuola e in un attimo di vera quiete mi concentro ripercorrendo i momenti più salienti. CIMG09941.JPG - 106.62 kb

Cominciamo col dire che lo sconveniente da viaggio non è mancato; arrivati ad Antananarivo dopo una lunga – ma direi comoda – attraversata del Mediterraneo e dell’Africa tutta, i nostri bagagli a stiva non erano giunti a destinazione. A tutt’ora uno (il mio) manca e non si sa se è stato bloccato a Parigi, a Nairobi o altrove. Ciò, se non altro, ha prolungato di un giorno o due il nostro alloggio nella capitale. 

La capitale è immensa e caotica, per chi la conosce e ci viene da un po’ credo sia sostanzialmente la solita Antananarivo, coperta di una nebbiolina di polvere e fatta di contraddizioni. E’ però anche il luogo del turismo, la zona dove i malgasci sanno un po’ di francese e inglese e soprattutto la porta di quella collina che Padre Pedro ha abbellito con la sua comunità. CIMG09945.JPG - 119.07 kb

Siamo stati ospiti da loro domenica 15, in particolare per condividere il momento della S. Messa domenicale… Padre Pedro non c’era, al suo posto un sostituto confratello francese.

Giangi ha concelebrato predicando in malgascio. Un’emozione forte vedere tutti quanti pregare, danzare, cantare a cori alterni, ma sempre e anzitutto nel nome di Dio. Loro, Dio, lo sentono vicino e te lo dicono. Moltissimi sono bambini o giovani della mia età, tutti rigorosamente vestiti con colori sgargianti quasi a preannunciare la gioia di quegli attimi. “Qui non si guarda l’orologio durante la liturgia, qui si concentra tutto il vivere quotidiano della settimana, ci si prepara in funzione della domenica… E la domenica pomeriggio? Si riposa sotto una pianta”, dice Père Giangi, come lo chiamano qui. CIMG0997.JPG - 126.08 kb

Già da questi piccoli cenni si può capire quanto sia distante la vita qui dalla nostra, non tanto per i kilometri che le separano ma per il modo, l’approccio, i valori, le idee, di una e dell’altra. Mi piace parlare di differenza, non di “migliore” o “peggiore”, “giusto” o “sbagliato”. Per approfondire questa cosa bisognerebbe fare quattro chiacchiere con Bruno, ex segretario del Comitato Nazionale per l’Osservazione delle elezioni, amico di vecchia data di Giangi. Noi abbiamo avuto la possibilità di farlo domenica a pranzo. 

Poi via… Marcia verso sud destinazione Ambositra su un furgoncino multiposto che guida Haja.CIMG1005.JPG - 170.17 kb

La strada nazionale, oltre a rimanere l’unica, mi pare di capire che non sia stata migliorata negli anni. Tra un paesaggio incantevole e l’altro, troviamo alcuni lavoratori pubblici che sistemano le zolle, ma sono varie le zone dissestate ed Haja deve andare cauto. Con noi tre sul furgone è venuto anche René. 

Su questa strada vale davvero la pena fare qualche tappa: chi ti vende l’ananas, chi il miele, chi le “bons bons” (che poi son frittelline fatte di farina), chi ti mostra la produzione di oli essenziali a 1600 metri di altezza… Noi, naturalmente, non ce ne facciamo scappare una.CIMG1019.JPG - 136.95 kb

E’ l’occasione anche per riposare un po’. Il clima è davvero caldo, da quando siamo qua ha piovuto solo una volta, bruscamente, la sera. Se non fosse che siamo nella stagione delle piogge non avremo visto nemmeno quell’acqua. 

Dopo la sosta notturna ad Ambositra (alberghetto di tutto rispetto dove eravamo possibilmente gli unici clienti), si va alla volta di Fianà… Ed eccoci qua. E’ in questo tratto che abbiamo avuto alcuni degli incontri più rilevanti. Siamo infatti passati dalle scuole medie e dai licei dei paesi di … , scuole parzialmente sostenute con le risorse di UnicoSole. 

CIMG1021a.JPG - 106.56 kbIl direttore della scuola media ci ha accolti e mostrato le classi, che variano dai 45 ai 64 alunni l’una. Il problema è rappresentato dalle lavagne: si puliscono difficilmente perché sono state utilizzate a lungo. In alcuni casi (le classi che non ricevono finanziamenti), anche i tetti sono fatiscenti e presentano fori più o meno grandi. I soldi per sostenere gli stipendi dei professori non abbondano, ma chi riesce ad accedere a questa scuola è felice di studiare. Giangi mi chiede di parlare un po’ in inglese, allora mi destreggio in qualche parola che possano capire. Non capiscono comunque, ma si fanno due risate. Sia io che Giangi salutiamo ogni classe dispensando il consiglio di studiare con costanza, di ambire ai propri sogni senza però perdere di vista il bene del Paese, di cimentarsi nelle lingue perché sono fonte di comunicazione con il mondo. Ringraziano e salutano con occhi stupiti. 

CIMG1021a9.JPG - 112.28 kbAl liceo la situazione è simile; oltre al preside ci ha accompagnato di classe in classe il sindaco della città. Per giungere al liceo abbiamo percorso un sentiero sterrato che attraversa qualche villaggio. La prima classe che abbiamo trovato sta facendo educazione motoria e la loro “palestra” è un campo di erba, sabbia e terra. Ci mostrano orgogliosi qualche corsetta e qualche esercizio. Nelle altre classi si impara malgascio, matematica, fisica, inglese. Le formule sembrano ben fatte. Anche qui, alcuni tetti son poco stabili. I banchi che dovrebbero “ospitare” due studenti vengono occupati da tre. I numeri simili ai precedenti: 50/60 alunni per classe. 

CIMG1031.JPG - 186.52 kbNel congedarci il sindaco ci ha portati nel suo ufficio; parliamo di acqua col presidente del comitato delle 11 fontane dei villaggi circostanti. Perché non ne sono state costruite altre nel corso di tre anni? Il comitato si deve trovare e deliberare di costruire altre fontane perché la struttura del bacino lo permette. 

Infine, le possibili migliorìe non mancano anche qui nella casa: l’acqua non viene attinta dal pozzo perché la gestione è ritenuta troppo complessa, in cucina vi sono alcune perdite e le finestre necessitano piccole riparazioni. Gli abitanti della casa sorridono dicendo che si impegneranno. Noi speriamo che sia così, ma a volte si tratta di disporre di risorse che essi stessi non hanno. 

Il presidente di Rainay sembra propositivo, i ragazzi anche. Sanno che quella è la loro dimora ora. Incoraggiamenti ne stiamo dando (io più che altro seguo quello che Giangi con la sua esperienza ha da consigliare), certo è che serve pazienza e collaborazione. 

Oggi si va a Ioshy, ci attenderà un altro bel carico di lavoro laggiù… Bello in tutti i sensi, credo.

Ihosy, 25/11/2015 06:38 (orario locale)CIMG1204.JPG - 150.21 kb

Cari amici,

ci troviamo in un internet point della città e, non avendo  alcuna connessione nella casa dove abitiamo, è ora l’occasione per farvi pervenire qualche news.

Siamo giunti mercoledì 19 novembre qui a Ihosy e tutti i nostri dubbi su come fare a preparare da mangiare, conservare il cibo e simili si sono dissolti nel momento in cui René, Jean-Paul e le loro famiglie ci attendevano sul porfido della casa societaria, da cui si intravedeva una tavola imbandita di ogni bene. I giorni vanno avanti, le cose non cambiano… Siamo serviti e riveriti. Inoltre, è vero manca internet, ma acqua e corrente fanno il loro mestiere. Devo anche ammettere che staccarsi per un po’ da ogni contatto con il resto del mondo è una buona disintossicazione, soprattutto di questi tempi.CIMG1209.JPG - 141.08 kb

Ho iniziato a insegnare inglese in un liceo cattolico comprensivo di più di 1300 studenti. La sensazione iniziale è che il livello di inglese generale è parecchio basso (più basso di quello in Italia, tanto per intenderci). Tuttavia, gli studenti sono molto rispettosi e accettano volentieri la sfida di avere un “vazaha” (uomo bianco) nelle loro classi, il quale non solo parla una lingua che non è malgascio, né francese, ma lo fa proponendo questioni di politica, costumi, diritti del Paese in cui sia loro che lui si trovano. Finora ho insegnato solo un giorno, ufficialmente, seppur in ben quattro classi diverse e per varie ore di seguito. Avrò modo di farmi un’idea più approfondita pian piano e vi terrò aggiornati.CIMG1221.JPG - 137.56 kb

Ultimo punto, e mi permetto di dare particolare enfasi… Sabato sera sono stato ospite speciale in una discoteca, la discoteca del Madagascar, una discoteca fatta di una tettoia e tante persone sottostanti che cantano pregando. E’ qui nella nostra casa, questa discoteca. E’ il nostro svago, ma anche il modo più bello per riunirci. Una torcia e un tavolino che diventa un altare son tutto l’arredo che si trova. Sono andato lì, senza nemmeno sapere cosa mi aspettasse. Tutti gli operai e i nostri conviventi della casa erano riuniti per accogliermi. Ho pregato, parlato e in parte danzato con loro.CIMG1227.JPG - 193.83 kb

La mattina dopo, in parrocchia prima della S. Messa, stessa scena con centinaia di bambini che non smettevano di circondarmi e osservarmi mentre attendevano che dicessi o facessi qualcosa. Non mi ricordo nemmeno cosa ho detto o fatto, ma son quasi certo che quel pomeriggio, a casa dalle loro mamme, dai loro papà e dai loro fratelli, hanno riferito l’evento straordinario di trovarsi con quel ragazzo europeo che “non è nemmeno un prete”. Quel ragazzo vorrebbe solo ringraziarli tanto, anzi infinitamente, loro insieme con tutte le persone che non smettono di farlo sentire accolto come parte di una famiglia-comunità.

Per ora, che in malgascio non mi so ancora esprimere e cerco di cavarmela con gli sguardi, queste cose a parole le dico a voi.

Ihosy, 07/12/2015 08:20 (orario locale)

Cari amici, 

Come va lì? Vi parlo sempre di qui, di noi, ma mi piacerebbe che condivideste anche voi qualcosa su come prosegue la vita a Bergamo e dintorni. Non mi si dica che non c’è niente di nuovo. Siamo a dicembre, il Natale si avvicina e credo che più o meno tutti voi abbiate eretto un albero o decorato la casa con presepe e lucine. Mio zio Gianni l’avrà sicuramente fatto in maniera strepitosa, come al solito.

Qui quell’atmosfera sembra così lontana… (ed è la prima volta per me non sentirla)

Eppure è dicembre anche in Madagascar e anche se quasi tutti sono cattolici ma nessuno sapeva del Giubileo straordinario fino a ieri sera quando Giangi l’ha detto, anche in Madagascar inizia questo Anno Santo della Misericordia. Non aggiungo altro, altrimenti mio padre mi manda i messaggi che sto iniziando a parlare come i missionari. Vero, non spetta a me farlo, ma sono convinto che, per credenti e non, questo evento sia un’occasione importante soprattutto pensando a situazioni come quella malgascia, di povertà.

A volte mi verrebbe persino da parlare di “miseria”, più che altro per l’arretratezza che si vive in certe circostanze. Vi accenno questa: giovedì è arrivato un furgone da Fianarantsoa che ha scaricato il frigor ed altri pacchi dell’ultimo container giunto a Tamatave. Finalmente possiamo mettere i salami dell’Angelo al fresco! Peccato che si risolva una cosa e si debba già pensare ai problemi di un’altra: il furgone, che era pure nuovo, si è rotto e si è dovuto fermare fuori Ihosy quasi tre notti e qualche ora mattutina in attesa che venisse portato il pezzo di ricambio all’autista-meccanico. Di pezzi, pian piano, ne sono arrivati più di uno, ma ce n’è voluto prima di azzeccare quello giusto! Se non altro, Hantra (moglie di Haja) e una sua cugina, che erano sul furgone perché avevano gestito loro il transito, ci han fatto compagnia qui alla casa da quella sera alla mattina dopo.

Altro esempio: ieri sarebbe dovuta essere la volta di Sakalalina, paese di Padre Rogér e sede di un ospedale coordinato da italiani. Niente da fare; la sera prima ha tempestato e i torrenti che attraversano la pista (non esiste strada asfaltata per andare a Sakalalina) hanno reso impercorribile quel tratto. Cambio programma: io sono rimasto a Ihosy e Giangi è andato a celebrare a Ivandrika

Ora, presi di per sé questi eventi personalmente non ci mettono molto a repentaglio, ma si pensi a chi lavora, a chi si può sentire male e sia vie che mezzi di trasporto sono, appunto, al livello della “miseria”.

Tuttavia, il popolo del Madagascar è sereno e continua farti sentire uno di loro. Si aspettano più ore, si farà più fatica per qualcosa, ma la si farà insieme.

Tornando alla tempesta, il vero danno è stato fatto soprattutto all’agricoltura (un po’ come quando da noi viene la grandine d’estate e distrugge i tralci di vite). Sui terreni della società sono state ammaccate tutte le radici di manioca piantate un anno fa (le più grosse). Anche carcadè, mais e sfortunatamente molte papaye ne hanno risentito. Le papaie, con istinto quasi umano, han cercato di difendersi “buttando fuori” una schiuma bianca dal frutto, ma il frutto, ora, non è più buono. Due tra le foto che allego mostrano questa reazione.

Stamattina, alla casa, un bel numero di donne è arrivato per pelare le manioche sradicate. Sarà difficile venderle poiché la stagione delle piogge è stata decisamente favorevole al riso e in pochi necessitano di alimenti “supplementari”.

Manioca a parte, l’acqua ha “risvegliato” un sacco di insetti, tutti innocui. Mangiamo, e faccio lezione ai ragazzi della casa, invasi da cavallette, mosche, e altri minuscoli volatili, ma in un certo senso è una fortuna… Da noi, con l’uso di tutti i pesticidi, animaletti simili non si possono più trovare nemmeno tra i campi.

Anche questa settimana è super-piena. Ai terreni arriveranno una trentina di nuovi operai, i quali sommati a tutti quelli che in varia natura ruotano attorno a campi, cascine e pollai dei progetti avviati, vanno a costituire un numero che supera i 230. A René e Giangi il compito di “farli rigare”. Si sta inoltre valutando l’assunzione di un nuovo trattorista, perché i due che sono impiegati al momento non sono sufficienti a coprire il lavoro di 3.000 Km da arare (si inizia alla mattina alle 6 e si spegne il motore alle 9 di sera, tutto con gran dedizione!)

A scuola io avrò il doppio delle ore di insegnamento perché quella attuale è la settimana di ripasso complessivo e devo dare una mano agli studenti a far fronte alle (parecchie) lacune “tirate dietro” in questi primi mesi. L’argomento che sto affrontando, dopo quello delle presentazioni e del tempo atmosferico, riguarda i viaggi; ma non è altro che parlare di sogni, essendo praticamente nessuno stato mai oltre i confini malgasci (se non addirittura di Ihosy). A loro, comunque, credo piacerà.

Un pensiero speciale va alla mia nipotina Sofia e a tutti quei bambini che tra pochissimo aspetteranno sulle loro porte l’arrivo di Santa Lucia. Spero che l’asinello porti in giro pochi sacchi di carbone quest’anno, così i bambini mangeranno i dolci e qui si potrà ancora accendere il fuoco per bollire l’acqua e il riso.  

UN NATALE PARTICOLARE DENTRO LE MURA DEL CARCERE DI IHOSY

Ihosy, 26/12/2015 09:30 (orario locale)

Cari amici, 

Anzitutto, buon S. Stefano a tutti! 

Ho voluto dare un titolo a questa nuova relazione sì da rendere già l’idea di cosa andrò a descrivervi. 

Avendo sentito anni fa i racconti toccanti di alcune persone che erano state nel carcere di Ihosy, da un po’ punzecchiavo Giangi chiedendogli di portarmici. Ebbene, non poteva scegliere cosa migliore: far visita in quel posto il giorno di Natale. 

E’ stato un Natale intenso, il nostro, uno di quelli con la N maiuscola, ma anche “aspro” per via di ciò che il contatto con quella realtà lascia. 

Siamo arrivati ai cancelli a metà mattinata, dopo aver già celebrato una Messa al terreno nei pressi dell’incrocio di Sakalalina. Jean-Paul aveva provveduto verso le 8 di mattina a far pervenire i sacchi di riso, l’insalata, i 70 kili di carne e le 25 stuoie che Giangi acquistò il giorno prima per un totale di 350 euro. Erano una sorta di dono per quei “disperati”.

Gran festa ci è stata fatta non appena varcata la porta di ferro: direttore e vice-direttore ci hanno accolti e portati all’altare dove avremmo celebrato la seconda Messa del giorno (terza compresa quella di mezzanotte a Marofivango). Ho posto su quel tavolo le statuine del presepe che mia cugina mi aveva raccomandato di usare a Natale per sentirci vicini. Tutti i prigionieri ci salutavano, chiedevano di noi, di quello che eravamo lì a fare ed erano entusiasti. Un piccolo gruppo di loro formava la corale che ben ha animato la Liturgia natalizia. Ma la percezione del degrado è giunta presto. Prima della comunione, un uomo è piombato a terra, probabilmente svenuto di stenti. Faceva caldo ed erano tutti ammassati sotto un telo la cui ombra fingeva di dare sollievo. Qualcuno “giocava” a togliersi le cimici dai vestiti.IMG_7901.JPG - 113.58 kb

Doveva essere il momento del pranzo quello dopo la celebrazione… finalmente un pranzo diverso dalla solita ed unica manioca che i “colleghi” del campo penale forniscono. Ma non è stato così; riso, insalata e carne erano stati disposti dalle 8 nei pentoloni, tuttavia la fiammella che li riscaldava era talmente fioca che neanche in tutto quel tempo riusciva a far bollire l’acqua. Motivo: mancava la legna! Manca sempre la legna in carcere; manca alle famiglie “libere” e che lavorano, figuriamoci nel “dimenticatoio umano”. L’unica cosa che si dispone tra le sbarre è un po’ di segatura regalata da una falegnameria che sorge lì accanto, ma di fuoco ne produce davvero poco. Giangi ha allora dato dei soldi per andare a comprarla: è arrivata in tronchi da spaccare. Un addetto ha preso la falcetta e via, colpo dopo colpo cercava di ricavarne dei pezzi: doveva far veloce perché eran già le 14 e regola vuole che alle 17 tutti i detenuti vengano chiusi nelle loro stanze senza possibilità di uscire fino alle 8 del giorno seguente. Ad ora, non sappiamo ancora se ce l’hanno fatta a cibarsi prima del “coprifuoco”. Miseria su miseria. Ma non è tutto.

Le stanze: 20 persone nella prima, 34 nella seconda, 94 nella terza, 64 nella quarta, 34 nella quinta, 7 minori nella sesta e 5 donne in un’ottava che rimane isolata dal resto del complesso. La condizione internamente a quelle pareti è sconvolgente: si dorme ammassati e rannicchiati perché non c’è spazio per distendere le gambe. I muri sono “pieni stinchi” di macchie di sangue. Ci chiediamo come mai. Risposta: nidi di parassiti sono ovunque e per tentare – invano – di liberarsene, vegono schiacciati con le dita provocando quello spettacolo terribile che pare essere la copia e l’antonomia di un allegro quadro puntillista. Su ogni porta si leggono delle scritte: tot sono i detenuti in quanto imputati, tot i condannati e tot (pochissimi) in attesa di un giudizio dalla Cassazione. Impressionante la sproporzione: la stragrande maggioranza è rappresentata dagli imputati, ovvero coloro in attesa di un giudizio definitivo! Son lì perché sospettati ed indagati ma non confermati nella loro colpa. 

Veniamo a storie concrete: parliamo di questo con i 7 minori…

< Perché sei qui? >IMG_7925.JPG - 129.41 kb

< Perché ho rubato un bue! >  

< E perché lo hai fatto? >

< Perché sono stato preso dal demonio! > Nemmeno il coraggio di dire che si ruba per fame. 

< E tu? > …

< Mio fratello ha ucciso e non avendolo trovato hanno messo qua me! > 

Spero di non aver capito bene ma la mia speranza è un’illusione.  

Arrivano le stuoie; per sicurezza le facciamo ricontare: son 27, dicono. Allora via con la ripartizione per stanza… Ma c’è stato un errore di calcolo, erano seriamente 25. Si litiga per un pezzo o in meno di paglia. 

Cos’altro manca qui, oltre a cibo, legna per cuocere il cibo, stuoie, spazio per dormire? Uno dei più “senior” ci porta un foglio, si tratta di una richiesta scritta. Gessi per scrivere. Servono perché si è improvvisato maestro ma non può insegnare nulla senza gessi. E poi, sapone… le donne chiedono soprattutto sapone. 

Non parliamo delle pentole: per quasi 260 persone devono essere grandi e funzionanti. Quelle che ci sono – nessuno le ha più sostituite dall’ultima volta che le ha portate Giangi – sono erose sul fondo. Intorno AI 400 euro è il prezzo di ognuna: un anno di stipendio medio malgascio. Ma i carcerati non lavorano e pochissime famiglie li sostengono. Dove si troveranno i soldi per comprarne sei che ne servirebbero?

Nel carcere non manca la piaga delle malattie. Ci imbattiamo in due tubercolotici che paiono usciti da Auschwitz – non cedo di esagerare. Si vedono solo pelle e ossa. I due hanno in mano pacchi di medicine. Ci riferiscono: < Lo Stato ci passa le medicine, ma senza cibo come mai potranno guarirci? > … Già, quelle bombe a stomaco vuoto finiscono per fare più male che bene. E intanto le malattie dilagano.

Qualche gallina ruspante vaga per la zona dei rifiuti. Non se la possono mangiare perché è del direttore. Tradotto: il carcere è anche il pollaio del direttore. Bestie più grandi e più piccole condividono gli stessi spazi e lo stesso abbandono.

Mi approcciano uno ad uno quei ragazzi; mi chiedono soldi e mi trovo nel limbo tra il mettere una mano nel marsupio e il trattenerla. Se li do a qualcuno, non posso non darli a tutti gli altri. Se li do alle autorità carcerarie, verranno davvero usati per i prigionieri? E mi torna lo stesso pensiero in merito a quelle due o tre banconote che ho ficcato nel cesto dell’offertorio.

Ce ne andiamo e promettiamo di ritornare. Sull’angolo dove svoltiamo in fondo alla strada ci sono due bellissimi edifici a destra, i più moderni della città, Bank of Africa e BFV-SociétéGénérale, mentre a sinistra il Tribunale. E’ il paradosso, o forse l’ingegno, della crudeltà.

A tavola, avanti a un po’ di riso e carote, faccio fatica a dire una che sia una preghiera. Mi mancano le parole ed è la prima volta che è successo qua. Anche il pomeriggio avventuroso in moto per la visita alla centale idroelettrica non è bastato a ridare normalità a quello che è e credo rimarrà il Natale più particolare della mia vita.  

 

CIMG1791.JPG - 87.53 kbDurante i viaggi in Madagascar è possibile approfittare di un paio di giorni per godere delle bellezze di questo magnifico Paese. Mattia ce lo racconta con parole e immagini

 

Ihosy, 04/01/2016 07:25 (orario locale)

 

Cari amici,

 

Buongiorno a tutti da parte mia e di Giangi,

 

Riesco finalmente ad allegarvi la mia ultima relazione con qualche foto significativa. Purtroppo la connessione presso la nostra casa di Ihosy non funziona da quasi una settimana. Vi sto dunque scrivendo dal Liceo dove insegno. 

 

E’ giunto il momento di “rendicontare” alcune cose, e ce ne sarebbero davvero molte, ma provo a riassumere le principali in una specie di “flashback” a partire da oggi risalendo fino al dopo Natale.

“Tratry ny taona!” è la frase simbolo di questi giorni di inizio 2016. Tutti se lo dicono e te lo dicono ad ogni incontro. Significa “buon anno!”

E allora, come un corriere  d’oltreoceano, trasmettiamo a voi queste parole… “Tratry ny taona, amici!”CIMG1856.JPG - 96.17 kb

Alcuni ancora non lo sanno, ma dal 30 dicembre al 2 gennaio, Giangi ed io siamo stati nei pressi di Tulear…..  

Il viaggio su un taxi-brousse pubblico ci ha visti attraversare alcune meraviglie quali la catena dell’Isalo da cui si scorge l’imponenza di grandi canyon, l’omonimo parco nazionale – lasciato quasi deserto dai turisti ma sempre affascinante per le sue rocce multicolori e il “saluto della Regina” –, la foresta spinosa nei pressi della città di destinazione.

Arrivati, via altri 25 km su un taxi privato per giungere a Sarodrano, villaggio marittimo dove il genovese Andrea da anni gestisce un piccolo gioiellino di hotel fatto a palafitte sulla sabbia e sprovviste di acqua corrente, elettricità, internet e quant’altro di simile si possa immaginare. Andrea non era presente poiché al momento si trova in Italia, ma una famigliola di guardiani ci ha accolti con festa e cibo, e per tre giorni non ci ha lasciato mancare nulla.  CIMG1908.JPG - 75.07 kb

Il 31/12, giorno seguente all’arrivo e ultimo giorno dell’anno, è quello che amo ricordare di più. Alle 4.30 eravamo già in piedi per la famosa tratta in piroga verso Nosy Ve, vero e proprio piccolo paradiso terrestre. Il fratello del guardiano e un amico ci avrebbero guidati: sono esperti pescatori loro o, come li chiama Giangi, “artisti”. Il vento era favorevole e il mare vellutato, ecco allora che la piroga partiva a colpi di remi. Stavamo seduti in fila indiana, ma i due artisti del mare non temevano di alzarsi e spostarsi sui bracci del mezzo nautico per gestirlo. La svolta cruciale è stata la messa in azione della vela…

< Prendi questo laccio! Annodalo > < Preso! Ora tu tira di là! > < Va bene, ci sono, lascia andare un po’ in basso che ‘mettiamo la quinta’! > < Così, così! Gira il timone a destra! > < Guardate, ci sono i delfini! >

C’erano per davvero i delfini, e in quella posizione li avvistavamo benissimo. Stupendo anche lo scontro tra acque dolci provenienti dal fiume Onilay e le acque salate del Canale del Mozambico: una lotta naturale che dà luogo nello stesso fazzoletto di spazio al contrasto tra verde smeraldo e blu oceano, sotto lo stesso celeste del cielo limpido; è il tripudio del terzo colore primario.CIMG1931.JPG - 102.85 kb

Dopo circa un’ora e mezza sopra il regno dei pesci si intravede la riva ambita. Occorre un’altra mezz’ora per toccarla con la prua e, una volta lì, a stento ti capaciti di tanta bellezza e varietà di flora e fauna. Lascio alle foto che allego il compito di descrivere visivamente gli stormi di peroqué, gli aironi bianchi e le relative uova, perché ogni commento sarebbe superfluo.

Pic-nic a base di pesce e rientro a Sarodrano… Guarda un po’ chi si vede? Zidane!…. Ci ha mostrato la nuova casa in fase di costruzione: la vecchia è stata sommersa pochi metri più avanti dalla sabbia. Quel tratto di spiaggia pare un vero e proprio deserto del Sahara: numerose sono le dune che come nomadi si trasferiscono in base alla direzione del vento da un’area all’altra.CIMG2005.JPG - 182.18 kb

A parte la visita un po’ fuggitiva alla città di Tulear – perché i punti di attrazione non sono moltissimi –, l’ultimo giorno trascorso a “pieno” sulla costa è stato significativo soprattutto per la serata in compagnia della sorella di René e della sua famiglia allargata. Mi ha colpito il fatto che quattro ragazzi universitari abbiano perso di proposito i mezzi di trasporto che li avrebbero riportati agli alloggi studenteschi per rimanere un po’ con noi e a quel punto si siano dovuti fare 6 km a piedi. Speriamo almeno che ricomincino il semestre brillantemente! Non è mancata una bella benedizione da parte di Padre Giangi.

Ultima questione: il giorno 27 dicembre sono stato presso le acque termali e la foresta di Ranomafana con Haja e i suoi figli. Anche lì, il paesaggio è spettacolare e unico di quella zona umida. Se dunque vi capiterà di venire in Madagascar e non siete ancora stati, ve lo consiglio! Si vedono lemuri e piante di tutti tipi!

Con questo vi saluto e vi auguro buona ripresa del lavoro o della scuola!

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Programma della visita in Madagascar dal 30 giugno al 17 luglio 2015

Padre Gianluigi è in Madagascar dal 30 giugno scorso con altre tre persone, e oggi è arrivato a Fianarantsoa.

Questo l’itinerario del viaggio.

Programma della visita in Madagascar dal 30 giugno al 17 luglio 2015

30 giugno  Partenza da Milano Linate alle 7,40 per Paris, arrivo ad Antananarivo (Tanà) alle 22,55
 1 luglio Tanà, visita del centro di P. Pedro, mercato dell’artigianato, Cooperativa Ravinala del commercio equo solidale. Cena col dottor Bruno Rakotoarison.
 2 luglio  ana – Ambositra, visite e incontri lungo la strada ai progetti di Tsarasaotra e Manarinony.
 3 luglio Ambositra-Fianarantsoa e visita ai progetti scuola e acquedotto di Ambohimahasoa e Tsarafidy.
 4 luglio Fianarantsoa, visita e riunione con l’associazione Rainay e Messa coi ragazzi delle 2 case famiglia. 
 5 luglio Fianarantsoa – Ivandrika, visita progetto agricolo e Messa con i 70 operai, dormiamo a Ihosy.
 6 luglio Ihosy e Ivandrika. Visite varie.
 7 luglio Ihosy e Ambia. Allevamento
 8 luglio Ihosy, visita al carcere, Ivandrika.
 9 luglio Ihosy visita mercato e varie.
 10 luglio Sahambano, visita villaggio e centrale idroelettrica costruita con la cooperazione italiana.
 11 luglio Ihosy, ore 9h00 matrimonio di un operaio e pranzo. Nel pomeriggio visita del mercato e città.
 12 luglio Messa e inaugurazione casa degli operai e nuovo terreno agricolo ad Ambia. Nel pomeriggio riunione con René, associazione Rainay e UnicoSole.
 13 luglio Puntualizzazione di tutti i progetti agricoli e loro avvenire.
 14 luglio Ihosy – Tulear – Sarodrano sull’Oceano Indiano.
 15 luglio Sarodrano – Anakao – Nosy Ve – Sarodrano.
 16 luglio Sarodrano – Saint Agustin – Tulear – Antananarivo in aereo alle ore 18,55 arrivo alle 20,35
 17 luglio Partenza da Tanà 01,40 arrivo a Paris alle ore 11,25. Aereo per Milano L. 15,25 arrivo 16,55. 

 

 

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Racconto di Padre Giangi, viaggio dal 15 al 28 gennaio 2015

Carissimi,

finalmente dopo il mio rientro in Albania, riesco a scrivervi e raccontarvi dell’ultimo viaggio in Madagascar che ho compiuto con mio fratello Giulio che da ben 32 anni desiderava visitare questa terra. La sua meraviglia è stata grande e così pure il suo desiderio di conoscere e mettere a disposizione le sue conoscenze e manualità. Il vedere personalmente le varie situazioni è completamente diverso dal sentirle raccontare. Il viaggio si è svolto dal 15 al 28 gennaio ed ha avuto molteplici obiettivi fra cui l’inaugurazione del Liceo nel comune di Tsarafidy a 42 km. al nord di Fianarantsoa sulla strada nazionale, finanziato per circa il 75% dalla nostra Associazione. L’inaugurazione è avvenuta il lunedì 19 gennaio. Partiti alle ore 6,00 da Fianarantsoa siamo arrivati alle ore 8,00 a Tsarafidy per il fatto che la strada nazionale è completamente distrutta e l’asfalto è solo un ricordo. Nelle vicinanze di Tsarafidy abbiamo subito incontrato file di scolaresche con i loro insegnanti che a piedi raggiungevano il luogo dove era stato costruito il liceo. L’unico che viaggiava con un automezzo era il sindaco che aveva una moto. Prima dell’inaugurazione ed in attesa che tutti gli alunni delle varie scuole si raggruppassero, siamo saliti fino al bacino dell’acquedotto inaugurato due anni fa. Verso le ore 9,00 dalla piazzetta del comune, dove si erano riunite tutte le scolaresche si è snodata una lunga fila di alunni che con i loro insegnanti raggiungevano il luogo dove era stato costruito il liceo. Solo in quel momento si è potuto notare il gran numero di alunni che con i loro insegnanti erano venuti per partecipare alla festa. Le 14 scuole elementari presenti nel comune avevano inviate gli alunni della quarta e quinta elementare. Erano presenti tutti gli alunni delle quattro scuole medie del comune e naturalmente gli oltre 300 alunni del liceo. In tutti saranno stati circa 2.000 ragazzi senza contare i genitori e gli adulti che vi hanno partecipato. Alla Messa d’inaugurazione erano presenti le varie autorità del luogo e della provincia, il parroco e le suore di Tsarafidy, le altre numerose chiese e confessioni presenti sul territorio. L’inaugurazione è iniziata al mattino presto con il sacrificio di un bue. La Messa d’inaugurazione e benedizione del liceo è iniziata alle ore 10,30 ed è proseguita alle 12,30 con i vari discorsi di numerose personalità presenti e alle 14,15 è iniziato il pranzo e dopo i numerosi canti e giochi degli alunni. E’ stata veramente una grandissima festa per tutto il comune e fra tutte le inaugurazione compiute in questi 10 anni di vita della nostra Associazione è stata la più partecipata e meglio organizzata.

Grude e Re 3 febbraio 2015 

                                                                                                                                       Giangi      

 Ecco l’album dell’inaugurazione

 

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  Alle 8 i bambini sono già pronti per incamminarsi verso il Liceo
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Il liceo è lassù, sulle colline fuori dal paese, e dista circa due kilometri. I ragazzi si mettono in marcia!
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 la lunghissima fila si snoda lungo la strada nazionale  tutti a piedi tranne il sindaco…motorizzato!
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lasciata la strada nazionale, si procede sulla strada sterrata mentre saliamo alla scuola attraversiamo un villaggio
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 man mano che arrivano si preparano ordinatamente  ci sono anche delle giovani studentesse con la tipica pettinatura e colorazioni dell’etnia Antandroy, del sud del Madagascar 
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  Ecco la scuola! Le aule nuove sono quelle a destra
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 L’interno di un’aula, apparecchiato per il pranzo della festa 
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 Alla celebrazione partecipano migliaia di persone oltre alle autorità. Poi Padre Giangi benedice la scuola 
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 La targa ricordo e il dono di ringraziamento della popolazione a UnicoSole 
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 Finalmente, il taglio del nastro! Sulla via del ritorno incontriamo un pastorello con la sua mucca dispiaciuto perché non potuto partecipare 

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