Gli Usa: nel mondo 27 milioni di schiavi

In questo articolo pubblicato su La stampa il 21 giugno viene commentato  il rapporto del Dipartimento di Stato americano sulla tratta degli esseri umani nel mondo. Il Madagascar è fra le 16 nazioni che «non rispettano gli standard minimi di lotta al traffico e non stanno facendo sforzi significativi per raggiungerli».

L’argomento è ripreso dai giornali malgasci che trovate linkati nella sezione “Notizie dal Madagascar” per renderne più immediata la lettura. 

 http://www.lastampa.it/2012/06/21/blogs/finestra-sull-america/gli-usa-nel-mondo-milioni-di-schiavi-hlo05bRB8EmvNQ1hLZUQUP/pagina.html

maurizio molinari

 

Salvate dallo sfruttamento poco più di 42 mila persone nel 2011, la maggior parte in Europa 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Amina è una giovane del Bangladesh che accettò l’offerta di fare la domestica in Libano finendo in una casa dove venne violentata, torturata e ridotta alla fame per tre mesi prima di piegarsi ai voleri dei carcerieri accettando di diventarne schiava. In un mondo con oltre sette miliardi di abitanti ve ne sono 27 milioni che vivono in schiavitù ma nel 2011 ne sono stati liberati appena 42.291. E Amina è fra questi.

La fotografia del Pianeta contenuta nel rapporto sul «Traffico degli esseri umani» redatto dal Dipartimento di Stato e firmato da Hillary Clinton precipita in una dimensione dei rapporti internazionali pressoché inedita. Le regioni geopolitiche sono ritagliate sulla forza delle reti del traffico di uomini, donne e bambini: dai confini dell’Afghanistan a quelli della Cina e dell’Indonesia si estende il mercato più grande con 11,7 milioni di vittime, seguito dall’Africa con 3,7 milioni, l’America centro-meridionale con 1,8 milioni, la Russia con 1,6 milioni e l’area transatlantica Usa-Europa occidentale con 1,5 milioni mentre l’Australia è l’unica a poter vantare l’assenza di luoghi dove i trafficanti hanno totale potere sui sottomessi.

A fronte di questo sterminato giacimento di vite che alimenta il crimine organizzato vi sono i singoli individui che le polizie nazionali, giorno dopo giorno, riescono a liberare. Il rapporto riconosce la difficoltà di quest’opera, evidenziata da numeri esigui e da una gerarchia geografica rovesciata perché il numero maggiore di liberazioni di schiavi si registra nell’area transatlantica, che invece è ultima per quantità di sottomessi. In Europa le vittime identificate nell’ultimo anno sono state 10.185 e nell’Emisfero Occidentale 9014 ma dove gli schiavi sono di più le liberazioni sono di meno: in Estremo Oriente 8454, in Africa 8900 e nel mondo arabo-musulmano appena 1831. I numeri di condanne di trafficanti in queste regioni sono altrettanto esigui, basti pensare che in tutto il Maghreb-Medio Oriente sono state solo 60.

I dati in arrivo da ogni capitale vengono analizzati da una task force che classifica le vittime per categorie: c’è chi è schiavizzato per fini sessuali, anche se minore, per i lavori forzati, manodopera infantile, formazione di reparti di bambini-soldati o per essere trattato da dipendente domestici senza diritti. Se combattere contro tale fenomeno è una missione in salita, Hillary identifica «dieci eroi» che sono di esempio per il contributo che danno e fra loro c’è un’italiana: Maria Grazia Giammarinaro che dal 2010 è la coordinatrice della lotta al traffico di esseri umani dell’Osce e si è recata in 16 nazioni per invocare l’adozione di misure più severe. La conclusione del rapporto dell’amministrazione Obama è infatti che se la piaga della schiavitù non ha confini; in Occidente esistono almeno delle leggi per combatterla mentre all’estremo opposto vi sono 16 nazioni che «non rispettano gli standard minimi di lotta al traffico e non stanno facendo sforzi significativi per raggiungerli». Ecco quali sono: Algeria, Libia, Siria, Iran, Arabia Saudita, Yemen, Sudan, Eritrea, Repubblica Centrafricana, Congo, Zimbabwe, Madagascar, Nord Corea, Nuova Papua Guinea e Cuba. C’è poi un secondo gruppo di 32 nazioni «sotto osservazione» perché «non danno informazioni» e registrano «numeri alti di vittime», limitandosi a promettere «azioni future» per ridurle: fra loro spiccano Cina e Russia.

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