Diario di Chiara. Viaggio in Madagascar 2004: un’esperienza indimenticabile!

Madagascar 2004: un’esperienza indimenticabile!

Penso che la vita si riveli a noi nelle persone che incontriamo e nelle situazioni che siamo chiamati a vivere; a volte capita di non sapere cosa è bene o cosa è giusto fare, tentenni indecisa e disorientata, fino a quando non ti accorgi che esistono dei “segni”.

Ho avuto la grazia di ricevere un invito per un viaggio in Madagascar, una proposta a vivere un’esperienza in terra di missione e ad incontrare la povertà del sud del mondo. Ho accettato. Sono tornata da poche settimane colma di gratitudine per quanto ho potuto conoscere, ho potuto condividere, ho potuto ricevere.

Alla partenza eravamo in quattordici persone, non ci conoscevamo bene tutti, ma ci univa l’amicizia con padre Gianluigi Colombi (che ha vissuto vent’anni in Madagascar) e il desiderio di vivere al meglio le tre settimane in un posto tanto lontano e così diverso.

Il nostro viaggio in terra africana è stato un susseguirsi di incontri, splendidi per il calore e l’accoglienza ricevuti, infinitamente arricchenti per l’esempio di vita che in essi di continuo scoprivamo. Abbiamo visitato villaggi dispersi, fatti di capanne e palafitte di legno, dove la nostra civiltà sembra non essere mai arrivata… in quei contesti ti rendi conto che il nostro mondo, fatto di tante cose e di tante abitudini, non è l’unico mondo possibile. Anzi, se rifletti sulle cifre delle banche dati, è proprio in quel modo che vive la maggior parte della popolazione mondiale, siamo noi occidentali l’eccezione, la minoranza!

In quei villaggi ci è capitato una volta di essere accolti con un po’ di timore iniziale perché eravamo dei bianchi, dei “vasà”, e non conoscevano il motivo del nostro arrivo. Non c’era però chiusura o diffidenza – in Africa ogni incontro è importante – è bastato presentarsi, dire loro che tra di noi c’era un missionario e che venivamo ad incontrarli e subito è stata accoglienza. Eravamo noi gli stranieri una volta tanto, gli sconosciuti in terra di altri, eppure venivamo sempre accolti con tanta generosità, dignità e allegria nei loro villaggi, nelle loro case, nelle loro scuole, nei luoghi del loro lavoro… quanto stupore ma anche quanto imbarazzo ho provato nell’accorgermene!

Di questi incontri conservo tantissimo e mi piace riviverli nel cuore e nella mente, ora che sono tornata alla mia vita di tutti i giorni. Qui mi capita spesso di vivere le relazioni umane in un modo molto più freddo, distaccato, impersonale, arrivo a volte a pensare che si possa vivere bene anche senza condividere. Ho sperimentato invece che c’è infinitamente più gioia nell’incontrare l’altro e nel creare relazioni umane significative, ognuno è dono per gli altri e non ci si può chiudere ai bisogni dei fratelli, dobbiamo imparare a “compatire”.

Abbiamo visitato l’ospedale della capitale e il carcere di Ihosy. Mi è difficile raccontare a parole le situazioni di degrado, miseria, povertà e abbandono che abbiamo visto, non so neanche immaginare del resto cosa significhi viverle sulla propria pelle, da malato o carcerato. So solo che la reazione alla vista di tanta mancanza era un misto di dolore, rabbia, imbarazzo e al tempo stesso di stima verso quelle persone, tanto provate nella sofferenza eppure così capaci di dignità e gratitudine!

In ospedale ho sentito pesantemente cosa significa povertà, ovvero mancanza dell’essenziale per poter vivere in modo dignitoso. In questi paesi anche un semplice ascesso ai denti diventa un vero problema perché manca qualsiasi cosa per curarlo e se ti capita non hai molto da fare che aspettare e pregare che si risolva. In carcere mi sono dovuta scontrare con un mondo dove i diritti umani più elementari non sono rispettati, perché le persone sono costrette a dormire addossate l’una all’altra, per terra, infestate dalle pulci che divorano il loro corpo, e la maggior parte di esse aspetta in quelle condizioni lunghi anni prima di essere processata.

Al termine di una esperienza di questo tipo credo sia necessario cercare di trasformare tutte le emozioni catturate durante il viaggio in prese di coscienza, consapevolezza nuova e insegnamenti di vita. Sento di dover ringraziare per quanto ricevuto e prego di riuscire a fare tesoro nella mia vita di ogni giorno condiviso con i poveri del mondo.

Qualcosa si sta già muovendo, e per tutti noi che abbiamo condiviso questo viaggio è già una gioia grande: stiamo sostenendo un progetto in Madagascar di una casa di accoglienza per bambini provenienti dai villaggi, che in questo modo avranno l’opportunità di frequentare la scuola e ricevere una formazione per un futuro lavoro. Durante il nostro viaggio abbiamo avuto modo di conoscere da vicino questa bella realtà che è nata dalla generosità e operosità di un gruppo di genitori malgasci. Si stanno costituendo in associazione per sostenersi vicendevolmente nel bello e difficile compito educativo e noi con gioia e senso di responsabilità abbiamo scelto di condividere questo gesto di speranza e solidarietà.

Il progetto si chiama PROGETTO RAINAY, che significa “Padre Nostro” e mi piace ricordarlo perché mi fa sentire parte della grande famiglia della Chiesa, unita con i fratelli lontani e diversi, vicina a coloro che vivono una vita più difficile della mia, eppure così tremendamente capaci di ringraziare e pregare il Padre, con le mie stesse parole Padre Nostro che sei nei cieli……

Grazie di cuore. 

Chiara

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